Scevà, schwa e non binary: linguaggio inclusivo lgbt

bellissima immagine dal blog di Alice Orrù
Noi persone non binary, oppure persone transgender con poco passing, siamo abituat* a fare funambolismo attorno alle parole che, concludendosi in A oppure O, o in altre forme che dichiarano il maschile e il femminile, ci metterebbero a disagio o riempirebbero l’interlocutor* di domande sulla nostra identità o biologia.
Alla luce di questo, abbiamo elaborato strategie per parlarci al neutro in tutti i contesti dove non siamo out, senza che neanche chi ci sta davanti percepisca che stiamo parlando “il dialetto non binario“.
Spesso, però, i funambolismi, che richiedono la scelta di determinate parole o costruzioni verbali, non bastano.
Quando siamo di fronte ad una persona di genere ignoto, o che conosciamo da poco, o non binary, o quando dobbiamo parlare ad una moltitudine di persone “di genere misto”, è necessario usare una forma inclusiva.
Da anni si usano l’asterisco ed il 3, oppure la U, che vengono poi pronunciati tutti come una U.
Vera Gheno, linguista, ha invece proposto la Schwa, italianizzata in scevà (io preferisco chiamarla così), che si scrive con una “e rovesciata” e si pronuncia con un suono cupo e chiuso, presente già in molti dialetti, tra cui il napoletano.
Ovviamente ci sono sacche di resistenza che si vogliono ribellare a questo utilizzo (gli stessi che avevano polemizzato per “Architetta“).
Personalmente, come persona di identità maschile mi sento più a mio agio con la “u”, che mi ricorda, comunque, qualcosa di maschile, e meno con una e rovesciata, che mi ricorda qualcosa di femminile, ma da mesi, col blog, ho deciso di aderire alla scevà, che uso nei miei articoli, e che ho inserito nella “guida di stile” del blog.
Di certo la scevà è scomoda per chi scrive da PC e non da dispositivi smartphone e tablet, ma spero che al più presto inserire la scevà sarà pratico come inserire un 3, una U, o un asterisco.
Un altro problema è che non viene “restituita” correttamente nelle URL, e viene trasformata in una A o in una E, ma anche su questo spero che presto il linguaggio del web si darà da fare per diventare più inclusivo.
Passate anche voi alla scevà: non aspettare che cambi il mondo, inizia a cambiare tu!
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Gli aspetti di evoluzione della lingua a livello di declinazione, sono pressoché immutati nei secoli. Il lessico ha una variabilità molto più dinamica e tutto sommato abbordabile anche a cambiamenti culturali come quello verso l’inclusione. Soprattutto nel parlato, la vedo dura modificare il genere a livello grammaticale inserendo nella declinazione un neutro, anche perché l’inclusione si scontrerebbe, almeno in alcuni casi, con la perdita di aspetti semantici non banali per alcune funzioni della lingua… Pensa solo al fatto che gli articoli stessi danno una determinazione sul genere; omettendoli, l’informazione, pur solo statisticamente rilevante, diviene non semplice: “ragazzə è uscitə” diviene meno efficace, in molti casi, pur se meno inclusivo, di “un ragazzo è uscito” o “una ragazza è uscita”… Certo, in certi ambiti, penso ad alcune forme di comunicazione scritta, immagino possa essere una valida alternativa senza particolari sforzi. Nell’orale rimanendo il problema che la consapevolezza dei suoni vocalici in molte regioni italiane è limitata: la schwa, anche dove è pronunciata, non viene percepita come un fonema; per non dire che il alcune regioni non produce nemmeno consapevolezza fonologica: è proprio un suono non percepito.
Meno efficace da che punto di vista? Ik parlo al neutro da anni, sono scorrevole, al massimo non è efficace dedurre i genitali dei soggetti di cui parlo..ma con la linguistica c’entra poco
Meno efficace dal punto di vista semantico; la morfologia serve a dare più informazioni possibili in meno spazio possibile; nell’esempio che riporto, dove ho tolto gli articoli che appunto hanno anche loro informazione di genere nella desinenza, credo sia evidente; ma anche provando a reinserirli, immaginando una loro flessione neutra, si ottiene: “unə ragazzə è uscitə”, per chi ascolta rischia di dare meno indicazioni semantiche ritenute utili. Ma certo, potrebbe essere usato in tutti quei casi dove il soggetto della frase non si riconosce dichiaratamente in dualismo di genere. Certamente, a quel punto, resta la difficoltà enorme dal punto di vista fonetico: come dicevo, la schwa non viene riconosciuta a livello fonologico da moltissimi italiani, spesso anche da coloro che la usano. Tanti italiani non riconoscono nemmeno la distinzione tra le vocali medie e nei fatti non distinguono è ed é, oppure ò ed ó, facendo diventare direttamente il sistema vocalico a 5 anziché a 7…
Ah, una curiosità: ma nel parlato tu da anni usi la schwa a livello di morfologia? Hai già sperimentato quindi come funziona? O quando dici che “parli al neutro” intendi che selezioni il lessico? Come detto, trovare perifrasi, cambiare il lessico, le singole parole, in un sistema linguistico mi pare molto più semplice che cambiare la morfologia e il sistema delle desinenze. Per quest’ultime, soprattutto nel parlato, la vedo durissima.
L’intento è proprio non dare quella informazione. Quella legata al sesso delle persone.
Non siamo d’accordo perché abbiamo interessi opposti.
Sei per caso un uomo cisgender?
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