Mi chiedo se abbia senso questo dialogo tra femminismo binario e persone transgender, e in particolare se abbia senso che un uomo ftm attivista si confronti con questo tipo di femminismo, o se si tratta solo di un enorme spreco di tempo e di energie.

trans

Nell’ultimo anno il cambio di clima culturale mi ha “costretto” a confrontarmi col femminismo. In tante le femminisme ad avermi aggiunto tra gli amici facebook a mo’ di collezione per poi porsi, spesso e volentieri, in modo autoritario e maternalista nei miei confronti e nei confronti del mio attivismo, e in generale dell’attivismo LGBT o transgender.

Mi chiedo se questo dialogo possa avere senso, funzionare, ed essere conveniente dal lato delle persone transgender.

Spesso trovo un atteggiamento, soprattutto dalle appartenenti al femminismo binario, che mi ricorda quello dei Conquistadores, che, senza provare minimamente a capire la spiritualità animistica e sciamanica dei nativi americani, hanno “deciso” che erano dei “senza dio“, e hanno imposto loro il cristianesimo.

Vedo un approccio simile in queste femministe che pensano di poter insegnare alle persone trans le modalità di attivismo, le priorità, le alleanze vincenti, senza nessuno sforzo di leggere la nostra letteratura, di studiare la storia della nostra autocoscienza, senza sapere interpretare il valore politico dei nostri vissuti.

Inoltre, vorrei parlare della questione ftm: noto, da parte di un certo femminismo binario, un progresso: hanno finalmente capito che le “donne” trans sono le Mtf e non noi, e quindi adesso riescono a mettere in primo piano il genere e non il sesso.
Rimangono però “sessiste”, o sarebbe meglio dire “genderiste”, perché nel passo avanti che hanno fatto volendo dialogare con le trans (seppure con quell’insopportabile maternalismo), hanno “deciso” che noi siamo “uomini” (o peggio: vogliamo esserlo) e che quindi non possiamo parlare di generi, ruoli di genere, e binarismo, poichè saremmo portatori di maschilismo, machismo, e privilegi sociali.
A loro non importa se noi ftm lo facciamo da sempre, se lo storytelling dei nostri vissuti può dare tanto alla battaglia antibinaria, per la discriminazione che subiamo per ciò che siamo, e a volte anche per ciò che “sembriamo”: nel loro binarismo, se vuoi essere considerato uomo, a quel punto la tua voce in capitolo diventa pari a quella di un uomo cisgender eterosessuale, che può parlare poco, e se prende parola, deve osannare i contenuti della femminista di turno.
Non so se questa errata lettura degli ftm e del nostro ruolo all’interno del dibattito antibinario sia in cattiva o in buona fede, ma non deve essere “nostro” lo sforzo di spiegare il nostro diritto alla presa di parola.
E’ stato il femminismo ad avere interesse sul tema T, e a mostrarsi ingerente verso il nostro mondo, quindi devono essere loro, se vogliono prendere parola sui nostri temi (rimamendo comunque secondarie a noi quando parlano di noi, come i loro uomini sono secondarie a loro quando parlano di donne), a informarsi da noi, a imparare da noi, e non noi ad elemosinare la loro attenzione (che politicamente non ha una grande utilità), e a dover demolire i loro pregiudizi, la loro confusione tra identità di genere e ruolo di genere, e il loro pensare che un ftm sia una povera derelitta che “considera fico” essere uomo e “disprezza” l’essere donna.
Nel disprezzare l’ftm vi è quindi sia genderismo (considerare superiore il genere femminile, e quindi mettere a tacere quello maschile), sia transfobia (si nega all’ftm il suo particolare vissuto di persona trans).
Inoltre, si pone un problema personale: come posso dialogare con qualcuno che mi considera un interlocutore meno di valore a causa del mio genere? un nero dialogherebbe con un giallo che lo considera inferiore a causa della sua pelle? Se proprio devo dialogare col diverso, preferisco a questo punto gli etero al di fuori di ogni attivismo: almeno non partono prevenuti e ideologicamente granitici.
Comunque rimane divertente il fatto che un ftm con scarso passing venga considerato inferiore sia come uomo, sia come donna, da persone diverse. E’ divertente l’idea di tornare a casa dopo aver ricevuto molto maschilismo a causa dell’aspetto da persona XX (tra l’altro un femminile non piegato al desiderio dell’uomo etero), e poi connettersi a facebook per vedersi “discriminato” e considerato inferiore come uomo!
Che senso ha parlare con chi non ha capito che è giusto considerare un ftm come un uomo sotto ogni aspetto dal punto di vista giuridico, ma che non ha senso considerarlo portatore di un vissuto di privilegi maschili?

Temo inoltre che l’imperialismo culturale delle femministe su di noi stia in qualche modo funzionando: alcune donne trans potrebbero cadere nell’errore di sentirsi lusingate delle attenzioni che le femministe destinano a loro disprezzando noi “uomini” del transgenderismo, e potrebbero anche assecondare quel maternalismo che suggerisce loro i linguaggi e i metodi politici del femminismo, con quelle lunghe citazioni astratte da testi americani, completamente disconnesse dall’esperienza. Non sobbiamo lasciarci condizionare dalle loro penne rosse sui nostri tesi, o  dal tormentone dello “studia!”, quando è riferito sempre e solo alle loro autrici, e non viene mai preso in considerazione di studiare la nostra letteratura. Non dobbiamo cadere nella trappola, a causa di una nostra inferiorità culturale interiorizzata che non ha modo di esistere, di dialogare usando la loro lingua e le loro modalità, in un territorio in cui siamo stranieri, inesperti e goffi, quando noi abbiamo da sempre avuto forme politiche e comunicative non meno nobili ma diverse, e molto legate ai nostri vissuti, alla concretezza, e a tutte le riflessioni sociologiche e politiche che essi ci hanno portato a fare, in un confronto tra noi che non è stato mai binario, ma sempre bilaterale, proprio perché uomini e donne trans hanno molto da condividere, perché l’esperienza dell’uno nel passato è l’esperienza dell’altra nel futuro e viceversa. Il tentativo di proporre spazi binari di discussione, tema molto caro ad un certo femminismo, già non funziona nel mondo cis, ma non è per nulla applicabile al mondo trans. Noi abbiamo sempre tratto beneficio da spazi di confronto comuni tra persone trans in “viaggio” tra i generi in ogni diversa direzione. La persona trans, di certo, ha problemi squisitamente legati all’essere trans, e con la donna condivide altre problematiche e discriminazioni, e questo riguarda sia chi appare donna senza esserlo (un ftm senza un buon passing, o un ftm che ricorda il suo vissuto prima della transizione), sia chi lo è senza magari apparirlo, sia chi lo e lo appare, e vive come donna anche anagraficamente da anni.

Ho sempre pensato che le subculture potessero comunicare su un piano di temi comuni: su alcuni problemi ha senso che io mi confronti con le persone trans, su altri io potrei vivere, per ragioni estetiche, problematiche simili a quelle che vive, non so, una donna eterosessuale.
Io potrei avere tanto da dire, nel confronto con le donne che si occupano di femminile, su questo piano, che poi è il piano che porta un sacco di persone ad essere discriminate perché portatrici di un femminile “non conforme”, apparente o identitario (un gay effeminato bullizzato per questo, una lesbica butch, una femminista che non vuole piegarsi all’estetica dettata dall’uomo etero, una trans con scarso passing e che quindi “disturba”).
Se però il femminismo ci vuole “soldati” delle loro battaglie (GPA, prostituzione, stupri) e ci dà il permesso di soggiorno solo alla condizione che ci sia convergenza di posizioni su temi che non sono del mondo trans, e che necessariamente non devono vederci tutti uniti (ci saranno persone pro, contro, e molte totalmente disinteressate al tema), allora un dialogo non è possibile, ed è anche nocivo, perché ci toglie energie che devono essere destinate alle nostre battaglie storiche: l’antibinarismo e la transfobia, il tema transgender e professione, etc etc.

Abbiamo davvero bisogno di un dialogo che si propone come una “sfida a singolar tenzone”?