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Sono riuscito ad evitare questa domanda, ogni volta che ho fatto una conferenza. Eppure questa domanda ritorna, prepotente, soprattutto su internet, dove è facile esporsi se nascosti dietro uno schermo.

Rispondo in modo semplice: una domanda sul perché non si fa, o non si è, qualcosa, è una domanda che filosoficamente non ha senso. Ovviamente rispondere così [modalità razzista on] in un’accozzaglia di tatuati con la prima elementare [modalità razzista off] ti fa sempre apparire lo snob appena uscito da un simposio platoniano, ma in effetti ciò che affermo è corretto.

La domanda che inizia con “perché non” afferma una condizione normale e normata in contrapposizione a una scelta bizzarra e inconsueta sulla quale si chiedono ragionevolmente delle spiegazioni. In fondo ormoni ed interventi esistono da pochi decenni, ed il non prenderli è quindi la più antica forma di transgenderismo, e forse la più diffusa, tuttavia torna sempre, prepotentemente, una domanda che ostenta un sentimento di stupore se una persona non si adatta all’iter battuto e noto del percorso medicalizzato.

Oltre allo stupore c’è, a dire il vero, anche un fare pretestuoso atto a confutare, smentire, a mettere in discussione, provare a demolire, ostentare scetticismo. E’ come, in fondo, quando si chiede ad un ateo, “perché non crede“, dando per scontato, per ragioni statistiche, che sia nato in una famiglia credente e si sia poi “emancipato” da questa condizione.

Quel “perché non” contiene tutte le sopracitate sfumature comunicative. Anche a livello tecnico e di contenuti, come potrebbe una persona definire se stessa e ciò che crede partendo da una negazione? Mi dispiace solo  che nessuno abbia colto la palla al balzo e mi abbiano considerato un sofista o un feticista del logos (non mi hanno definito così: il loro livello culturale è arrivato solo a “paraculo” e “persona che non ha il coraggio di rispondere”): mi sarebbe piaciuto discutere in modo speculativo dei nostri vissuti e di ciò che ci ha condotto ad essi.

Non sempre è necessario ragionare sui contenuti. A volte è importante, e direi necessaria, una riflessione sulla comunicazione, che rappresenta ancora, quando non usata correttamente, la più grande forma di violenza e diffusione di letture della realtà non collimanti con la realtà.