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Perché i “non med” non hanno “coscienza di classe”?

Perché quasi nessuna persona “non med” usa questa definizione per la sua autodeterminazione e per rivendicare delle istanze? Indaghiamo sul motivi e sul sentimento di inferiorità interiorizzata che colpisce la persona “non med”

Negli “anni zero” non esisteva neanche il concetto

Quando ho iniziato come attivista non era concepita la possibilità di definirsi transgender, o di autodeterminarsi come appartenente ad un’identità di genere non “attesa” rispetto al proprio sesso biologico senza almeno essere in terapia ormonale, o avere intenzione di intraprenderla.
Tante cose sono cambiate negli anni, nel movimento LGBT, soprattutto grazie ai movimenti queer d’oltreoceano, all’influenza dei media americani, non ultime le serie Tv di Netflix, che tanto hanno fatto, ad esempio, per iniziare a parlare di identità di genere non binarie, ma sulla questione “non med”, e i relativi diritti civili associati (il cambio documento senza medicalizzazione, ad esempio, l’inclusione dei non med in una legge contro l’omotransfobia, senza che sia necessario un “diploma di transgender”) non si è mai fatto dell’attivismo.

Più semplice definirsi “non binary” o “pre-T”

Basti pensare che “non med” rimane una definizione elitaria che non molti/e usano o conoscono, e si limitano ad usare termini come “pre-T”, come se si fosse in attesa di diventare T con una terapia ormonale sostitutiva che inevitabilmente deve iniziare (ma per molti cosiddetti “pre-T” non inizia mai).
Poi c’è l’abitudine di usare “non binary” per descrivere tutte quelle persone che non sono nel percorso medico-legale per scelta, anche per descrivere chi di loro, in realtà, ha scelto un nome proprio con una precisa connotazione di genere, e chiede che ci si rivolga a lui/lei con un preciso genere grammaticale (maschile o femminile), e quindi, in realtà, in questi casi, sarebbe più corretto definirsi transgender non medicalizzati, più che “non binari”, perché l’unica cosa di “non binario” è il corpo, che, privo del cambiamento che provoca il trattamento ormonali, ha scarso passing, e quindi rompe le norme del binarismo.

Varie ipotesi che portano a non definirsi “non med”


Ma perché un “non med” dovrebbe preferire “non binary” o “pre-T” a non med?
Ipotesi 1: ci si sente in colpa verso chi ha avuto il “coraggio” di fare il percorso medico-legale, e quindi non legittimati a dirsi uomini, donne, o semplicemente ad usare “trans”, sensi di colpa, comunque, veicolati dalla comunità T, da quella parte di comunità “med”, spesso lontana dall’attivismo, che vuole prendere le distanze da chi non è nel percorso che i cis hanno previsto per noi.
Ipotesi 2: si pensa di essere più rassicuranti se si “promette” di intraprendere un percorso ormonale a breve, come se per gli altri fosse più facile legittimare un genere se siamo in un “pre” e non in un “non”.
Ipotesi 3: si pensa che senza il percorso ormonale al massimo si possa essere “non binary”, ma, paradossalmente, citando la mia amica Laura Caruso, cosa c’è di più “binario” che imporre “non binario” a tutti coloro che non hanno il passing?

non med

Definirsi altro porta a mirare su istanze diverse


Concludendo, i diritti “non med” non arrivano perché non c’è un gruppo identitario che rivendica la propria esistenza partendo dalla pretesa che questa posizione sia legittima e meriti i diritti che hanno/a cui aspirano le altre persone T.
E’, ovviamente, possibile che alcune persone “non med” siano anche non binary, ma il termine che usiamo identitariamente per rivendicare i diritti dà un preciso taglio alle battaglie politiche che intraprendiamo.
Ad esempio, molti non binary (che sono anche non med), politicamente, insistono molto più sulla battaglia di avere la X o il genere non binario sui documenti (o per la diffusione dell’asterisco, del they e di altre forme grammaticali neutre), rispetto alla possibilità di poter avere la M o la F anche se non med. E’ una differenza non da poco, premesso che, magari, per molti “non med”, la X sarebbe già meglio di niente, ma per altri, invece, il riconoscimento come “altro” e non per il proprio genere d’elezione sarebbe un ripiego insultante.

Anche per i cis, non med=non binary


Ogni volta che ho provato a portare il tema non med con professionisti cisgender, anche transfriendly, immediatamente il tema è stato spostato sulle persone non binarie, ed è quindi chiaro che per molti i due concetti coincidono: chi non prende ormoni è “non binary”, è in una condizione identitaria intermedia, chiede la X sul documento, etc etc, questo anche a causa della letteratura straniera, che fa molta leva sul tema non binary e non su quello della legittimità identitaria senza medicalizzazione.
Questo non vuole, chiaramente, essere un post “contro” i non binary, perché è chiaro che ci sono persone sia non med, sia non binary, così come ci sono le persone non binary che sono med (con transizioni binarie o parziali, microdosing e altro).
Quello che voglio far capire è che se “non med” non diventa un’identità da brandire con fierezza, senza paura del giudizio di chi è in percorsi canonici, non verranno mai pretesi quei diritti che dipendono dal fatto che avete scelto di non modificare il vostro corpo chimicamente/chirurgicamente. Probabilmente avrete i diritti legati all’identità non binaria, anche perché spinti dal movimento internazionale, ma non sarete mai legittimati legalmente come uomini e come donne senza dover ricorrere ad un trattamento ormonale.

Il silenzio di associazioni e della stampa su questo tema


Come è possibile che, con tutte le persone disforiche che si incontrano nel web e nelle associazioni, non ci sia stata finora una causa pilota per il cambio documenti senza la volontà del trattamento ormonale? Come è possibile che l’unico evento a tema sia stato proposto dal Circolo Milk di Milano nel 2018 e non ci sia stato nessun seguito?
Come è possibile che fiocchino le interviste ai non binary ma nessun giornalista sia minimamente interessato al tema non med?
Le parole, per essere reali, vanno incarnate. Se le persone “non med” non inizieranno a presentarsi al mondo come tali, rivendicando con orgoglio l’opzione non med, senza paura che ciò offenda chi ha preferito altre opzioni, non ci sarà mai un effetto domino che porti al riconoscimento legale delle persone non medicalizzate.
Che aspettiamo? Non abbiamo neanche una bandiera, neanche all’estero qualcuno ci ha pensato. Vogliamo davvero mandare sempre avanti gli altri e sperare che portino sul tavolo anche le istanze di cui noi in particolare abbiamo bisogno?

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