Conseguenze e discriminazioni, ma anche contraddizioni, relative a chi si dichiara genderfluid.

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Nella mia mente il parallelismo tra genderfluid e bisessuali è fortissimo.
Sia gli uni che gli altri sono discriminati da chi ha un orientamento sessuale o un’identità di genere netti.

In realtà chi li discrimina porta come motivazione la grande percentuale di velati che questi due mondi presentano, a scapito dei pochi disgraziati che invece desiderano dare visibilità a ciò che sono.

Se ormai si può dire che un coming out di un bisessuale sia abbastanza facile (possono disapprovare, scaricare addosso alla persona tremila pregiudizi, ma comprendono cosa è un bisex), il coming out di un genderfluid viene totalmente ignorato.

Mentre una persona di identità di genere netto è “costretta” dagli eventi a fare coming out con tutti, a meno che non voglia ricevere il genere grammaticale e il nome sbagliato ogni santo giorno, il genderfluid spesso non fa coming out con tutti ma solo in ambiente protetto.
Non essendoci, spesso, una transizione medicalizzata di mezzo, è anche “possibile” non dirlo a tutti.

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Coming out genderfluid: come affrontarlo

A volte il genderfluid non ha un “nome” diverso da quello anagrafico, e spesso nello spiegare di sè, l’interlocutore confonde totalmente identità e ruoli, e quindi fa finta che il genderfluid sia solo una persona con una spiccata parte maschile (se di biologia femminile) o femminile (se di biologia maschile), ma continua ad appellarla col nome anagrafico e col genere grammaticale inerente al suo sesso biologico.

Spesso la persona genderfluid (a meno che non gli vada di culo e abbia un o una partner bisessuale), si accompagna di un o una partner attratto/a dal suo sesso biologico e non dal suo genere mentale, quindi vi è sempre un parziale rifiuto della totalità della persona da parte del o della partner.

La persona genderfluid, scoraggiata da tutti questi possibili (e forse inevitabili) malintesi, è molto scoraggiata nel fare coming out, ancora piu’ di una persona bisessuale. Allora chi, tra i genderfluid, non vuole rinunciare all’esigenza di fare coming out, cerca dei compromessi, ovvero di presentarsi come trans (presentando quindi una condizione più netta) o addirittura come bisex (magari senza esserlo, ma per poter giustificare in modo “soft” il suo essere LGBT).

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Inoltre, diversamente dalla persona trans, se una persona genderfluid inizia a parlare a un interlocutore di fase M, fase F, etc etc, viene preso per un borderline, o uno schizofrenico, o un bipolare, tacciato di personalità multiple e quindi un caso da DSM.
In altri casi, viene preso come un pagliaccio esibizionista che vuole divertirsi recitando vari ruoli, anche a causa dell’uso e dell’abuso che spesso il genderfluid fa della parola “performare”.

Anche la comprensione di sè stessi, per i genderfluid, diventa complessa, non essendoci ancora (e forse mai ci sarà), una chiarezza su cosa appartiene all’identità maschile (o femminile) e cosa al ruolo “secolarizzato”.

Ancora più difficile è fare coming out quando il genderfluid decide di mantenere un aspetto coerente col sesso biologico ed esprimere la fluidità di genere solo sul piano mentale.

Purtroppo le considerazioni fatte in questo articolo sono parziali, in quanto io sono semplicemente “mono-gender” ed esprima il mio non binarismo solo sul piano dei ruoli di genere (avendo un’identità di genere maschile).

 

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