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La venuta di mia madre a milano per girare per agenzie immobiliari mi ha illuminato.
Lei ha sempre visto come superflue le mie battaglie contro il binarismo, e ora so anche perché.

Mia madre vive in un contesto provinciale in cui le persone, nel contesto “tribale” del paese, hanno un ruolo e , col tempo, vengono conosciute e accettate/incluse nella loro particolarità.
Quindi mia madre è una dottoressa emancipata, che acquista automobili, case, dirige la professione, e persino nel bigotto “paesiello” del sud la trattano come merita, per i feedback che dà.

Quando abbiamo girato per comprare la casa a Milano ho osservato il tentativo degli agenti immobiliari di trattarla da “zignooooraaa“, ovvero come “la moglie di qualcuno“, di inquadrarla, come fa il bravo commerciante figlio della PNL.
Mia madre a milano non era una “dottoressa“, ma una “signora“, una delle tante, e , mi ripeto, “la moglie di qualcuno“.

Me ne sono andato dal paese per evitare il bigottismo, ma in città l’incasellamento è frenetico, necessario, insostenibile.
E’ la mentalità del “fast food”, in cui i piatti devono essere serviti velocemente e senza fronzoli, così come le etichette.

Anche io subisco questa violenza, essere incasellato e inquadrato, tanto che ho smesso di usare i mezzi pubblici e, muovendomi in scooter, evito tutti i contatti superflui, evito che decidano cosa sono per potersi relazionare, mi chiudo nella mia bella misantropia.

In un paese tutti sanno che Mario è un ragazzo di colore adottato da una famiglia ricca, che fa l’università e parla in dialetto lombardo. In città è solo un negro a cui dare del tu e chiedere i documenti.

Forse si dovrebbe tornare, e non solo per questioni di binarismo, al sano contatto umano da paese, dove, essendo personali i rapporti, puoi spiegare le cose, cercare di farti comprendere, e non vivere un continuo barcamenarsi tra estranei che devono decidere cosa sei e non comprendere chi sei.