Uomini gay e stereotipi Tonio Cartonio

Il modo di essere uomo omosessuale è cambiato, per visibilità e connotazione, a seconda di tempi e luoghi.
Si potrebbe fare un tracciato socio-antropologico sull’essere gay nell’antica Grecia, nell’antica Roma, nell’Ottocento Vittoriano….ma non voglio dilungarmi su questo, perché il focus dell’articolo è la seconda metà del Novecento, quando sono nati i primi movimenti attivisti e i primi locali e spazi per i gay.

La mancanza di modelli sia per quanto riguarda l’individuo, sia per quanto riguarda le dinamiche di coppia luixlui, ha causato il nascere, radicarsi e consolidarsi nei decenni di stereotipi e dialetti necessari per la creazione di una riconoscibilità e identità.

Alcune generazioni di gay, che hanno avuto l’occasione di confrontarsi tra loro tramite gruppi attivisti e non, hanno ricercato una visibilità tramite atteggiamenti e look che richiamassero un maschile non eterosessuale.
Non alludo a fenomeni di travestitismo, ma a un uso del corpo, nel movimento, nel portamento, nel vestire, che oggi potremmo chiamare Camp“.

Anche nel concepire la coppia, spesso essendo l’unico modello conosciuto, anche se odiato e contestato, quello eterosessuale, si sono riproposte le stesse dinamiche nelle “prime” coppie omosessuali, in cui uno dei due ammiccava goliardicamente al ruolo stereotipato della donna/angelo della casa/madre e moglie (modello eteromimetico).

Questo si rispecchiava anche nelle cosiddette icone gay, spesso donne, brutte, con nasi ingombranti e vite sentimentali devastate, come Barbra Straisand, Cher, Madonna, Lady Gaga, Liza Minnelli, Mina, Raffaella Carrà, Moira Orfei…come se il gay si identificasse con queste donne “incomprese” che si sono fatte strada senza le agevolazioni della donna bella

Mi sono sempre chiesto quanto l’essere uomo gay (uomo che ama uomo), in un’epoca in cui non si deve essere per forza velati (e quindi avere una non riconoscibilità fisica e comportamentale), coincida per forza con questi modelli “finocchi” che si sono radicati in periodi in cui c’era una ricerca di identità di orientamento sessuale (si, esatto…un nuovo concetto, che non c’entra niente con identità di genere, ma è proprio l’identità dell’essere “gay” e non solo “un uomo che ama gli uomini“).

Mi chiedo se sia il povero gay cresciuto senza altri gay intorno ad essere stato “castrato” ad avere come unico modello quello comportamentale eterosessuale (pur amando invece gli uomini), o se invece sia stato plagiato e spinto verso falsi modelli i gay entrato in contatto con “l’ambiente gay” e “checchizzato” e portato verso look, comportamenti, e modelli stereotipati e concepiti in serie.

Si può persino teorizzare lo stereotipo finocchio:

L’idioma: si ispira alle doppiatrici svampite anni trenta, pieno di birignao, di scivolate, di quella cadenza così  “Camp“. Nel momento della sorpresa, la voce si fa acuta e stridente, come se volesse prendere in giro e manifestare odio e scimmiottamento verso un’immagine di donna stereotipata: ovvero la gallina.
In quel momento, il finocchio transiziona verso Valeria Marini, riuscendoci pienamente.

Il portamento. Il portamento è sculettante. Imita le peggiori passerelle. Anche la gesticolazione è sgraziata e sguaiata, come ad imitare una segretaria isterica. Il polso rotto è l’apoteosi di questo pittoresco lifestyle.

Interazioni fuori luogo con l’ambiente circostante. Il far capire a tutti che piace l’uccello: passa un bel ragazzo e parte la frase con voce rigorosamente effeminata. “buongioooorno“. Il tizio si gira infastidito…perché le sue ferite machiste fanno si che si urti a un comportamento del genere.

Body modification: un ragazzo etero con le gambe magre da passero solitario non se lo prende nessuna. L’uomo è protettivo, paterno, affidabile. Quindi se vedete due gambe sottili strette in un jeans aderente non vi state sbagliando. Si tratta esattamente di finocchia.

L’acquisto di riviste pensate per il pubblico più frivolo e abietto femminile: Vanity Fair la principessa delle riviste. Già “Pride” è troppo da uomo…

I seguire la moda “fescion“. “zara“, “acca e emme“, “berksha” e simili posti dove la musica discotecara appalla accompagna ogni grottesco abbinamento di vestiti sintetuici (scritto apposta cosi’).

Il genderfucking…ovvero darsi il femminile, denotare una completa ignoranza della differenza tra orientamento sessuale e identità di genere, sentirsi “donne mancate” e parlare di quanto gli uomini siano bastardi (ehm…scusa…ma tu quindi che cacchio sei?)

La visione delle donne lesbiche: la donna lesbica è un uomo mancato. Guida il camion e ama riparare il lavandino. Ma soprattutto ama “la sua ddoooonna” e “la vagiàina“…grande nemica…perché gli esseri xx sono inferiori…la seconda x viene annullata..si sa…

La visione delle donne etero: tessooooorooooo come sarai cariiiinaaa se perderaiiii centocinquanta chili.e quei bastardi degli uomini ti troveranno carinaaaa. La frociara è li con loro, somiglia loro anche fisicamente,  con l’unica differenza che il gay si sa depilare le sopracciglia molto meglio. Tendenzialmente la checca è misogina.

La visione dei bisessuali. Non esistono. Anzi no, sono gay che non hanno le palle di dirsi gay. Oppure etero curiosi confusi…e quindi comunque inesorabilmente…gay. Ogni checca è stata almeno una volta scartata da un bisessuale che ha preferito una più rassicurante patata/angelo della casa/madre dei suoi figli.

La visione dei trans. Il transessuale ovviamente, per il gay, è la mtf. gli ftm non esistono perchè “se po taglià ma nun se po’ incollà” (riferito ar cacchio). Quindi esiste al massimo “il travestito ” (la mtf che non transiziona) e “il transessuale” (la mtf in transizione). Entrambe sono uomini gay che , per normalizzarsi, diventano donne.

 

[continua]
Poi è arrivato il 1997. Internet in Italia, nonché la teoria antibinaria (famosa anche come Teoria Queer).
Grazie a internet, a wikipedia, e ai mezzi di informazione, la checca di città aveva modo di confrontarsi con chi, di “gay“, aveva solo il fatto di essere uomo e di amare gli uomini.
In più sono cominciate a comparire icone gay diverse, come Mika, un ragazzo gay che parla ai ragazzi gay, o Rupert Everet, o Ian Mckellen.
Si comincia a parlare, grazie all’informazione, della differenza tra identità di genere e orientamento sessuale, si comincia a distruggere l’unico modello di ruoli maschile/femminile, che decade persino nelle stesse coppie etero.
I ragazzi gay cominciano a credere che possono essere omosessuali anche rimanendo loro stessi.
Qualche attivista reticente continua a riproporre vecchi modelli, ma in pochi lo ascoltano…non è voglia di normalizzazione, ma solo il vivere serenamente il proprio orientamento sessuale come una delle mille sfumature di una vita piena di passioni e ambizioni.
E , se cosi’ non fosse, non sarebbe vero che nei paesi più evoluti, del Nord Europa, il modello della checca da bar si è estinto, proprio perché non era una “liberazione”, ma solo l’ennesimo stereotipo per dare forma a qualcosa che allora faceva paura e doveva essere esorcizzata.
Una volta un attivista mi disse
“se scrivi saggi sui diritti sei omosessuale, se vai ai pride sei gay, se vai nei locali sei frocio”

[continua]