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Miecia Serafinska, intervista: essere una donna pelata e stereotipi di genere

Miecia Serafinska: Il binarismo di genere propone, fin dall’infanzia, modelli di bellezza stereotipati. Sia bambini che bambine, ragazzini e ragazzine, sono influenzati da questi modelli di bellezza e di “normalità”, che richiedono certi parametri.

Oltre al vestiario e agli accessori, un importante parametro di differenziazione sono i capelli: rigorosamente corti per i maschi, lunghi per le femmine. Se fino a qualche anno fa un uomo “pelato” non era percepito come bello (e fioccavano i cosiddetti “riportini”), oggi l’uomo calvo è virile, macho, ancora più “uomo”.

Cosa succede se qualcuno si discosta da questo stereotipo? Arriva lo scherno. E arriva anche quando la diversità non è una scelta ma una condizione personale.

È il caso di Miecia, ragazza polacca, italiana d’adozione, da ben 23 anni, che, colpita dall’alopecia, si è ribellata all’obbligo di bandane e parrucche, per prensentarsi al mondo per quella che è. Eppure, il bullismo e lo scherno non l’hanno risparmiata, insieme alle richieste, velate o esplicite, di “coprirsi”, come se fosse nuda. Lei, però, non ha ceduto ai tentativi di contagiarle la “vergogna”, e ha aperto un canale TikTok dove ogni giorno ispira bambini e bambine con l’alopecia, genitori, e giovani donne.

Miecia Serafinska

Leggiamo la sua storia in questa preziosa intervista.

Ciao Miecia: come è iniziata la tua “convivenza forzata” con l’alopecia?

È iniziato tutto intorno ai quarant’anni. La parrucchiera mi ha fatto notare un’area della testa priva di capelli, e mi ha presentato la possibilità che fosse alopecia, qualcosa di cui avevo sentito parlare, e che poi è stata confermata, dopo alcuni controlli per escludere altro, dal dermatologo.

Inizialmente come hai vissuto questa scoperta?

Ero la classica donna che ama cambiare taglio e colore spesso. La notizia mi ha causato depressione e vergogna, perché ogni donna è portata a provare queste sensazioni quando sa che perderà i capelli. Ho potuto nascondere la cosa a tutti, persino a mio figlio, sfruttando la stagione autunnale, e portando cappellini e sciarpe. Il mio compagno, invece, sapeva e mi ha sempre sostenuto. Ero io, al limite, a vergognarmi a farmi vedere da lui, proprio perché ero influenzata dal pensiero che una donna senza capelli non può essere bella e desiderata da un uomo.

Qual è stato il momento dopo il quale ti sei accettata.

Non c’è stato un momento preciso, ma se dobbiamo indicare un momento simbolico è quello in cui mi sono rasata a zero da sola. Dopo questo gesto, mi sono guardata allo specchio: eravamo io e la mia testa pelata. Mi sono improvvisamente accorta che stavo bene anche così: pelata!

C’era una vocina dentro di me che diceva che mi stavo solo raccontando una bugia, ma, man mano che passava il tempo, la vocina era sempre più debole, e, arrivata la bella stagione, ho trovato il coraggio di uscire di casa senza bandane e parrucche.

Come è stato l’impatto sociale?

Alla mia serenità interiore non è corrisposta un’accettazione esterna. Mi sono resa conto che il mondo, che accetta con un senso di ovvietà l’uomo calvo, non riesce ad accettare che una donna sia calva.
Sussurravano di me, alle spalle, mi scrutavano. Questo, inizialmente mi ha scoraggiato, ma ho deciso di fregarmene. Io mi piacevo, e la vita è breve: perché trascorrerla chiusa in casa?

Chi ti ha dato la forza di accettarti?

È una cosa partita da me, ma un grande ruolo ha avuto il mio compagno di vita, Luciano, che mi è stato sempre vicino e mi ha sempre visto bella. A lui non importava nulla dei miei capelli. Amava me. Avere una persona che ti sostiene è fondamentale quando si affronta un percorso di questo tipo.

La perdita dei capelli viene vista come un’umiliazione. A volte sembra quasi che, in una diagnosi di cancro, al dolore dell’incertezza della vita si aggiunga quella della perdita della femminilità. Che ne pensi?

All’inizio anche io l’ho vissuta come un’umiliazione. La società non accetta le donne calve, ma soprattutto non accetta una donna calva che cammini a testa alta per strada senza sentirsi umiliata dal suo aspetto. La colpa è della pubblicità e della moda, che propone donne sempre con i capelli lunghi, oltre che donne magre e giovani. Per questo poi chi non è conforme si sente umiliata e diversa.

Quando una donna, che ha appena fatto la chemioterapia, esce di casa, con un foulard, la gente, pur cosciente della malattia, ride e guarda. Figurati cosa possono pensare di me, che invece esco fiera e sorridente. Per loro (donne e uomini nate e nati negli anni Quaranta e Cinquanta) è gravissimo che io non senta l’esigenza di nascondermi. Molte signore, di una certa età, me lo hanno proprio detto. “Sei matta? Copriti”. E io ho risposto “Perché, sono nuda?”. Loro sono rimaste ancora più scioccate dalla mia risposta. Credevano che, dopo il loro rimprovero, io corressi a mettermi la parrucca, e non capiscono che è proprio il mio non metterla che può trasformare l’alopecia in una delle tante condizioni di normalità.

In fondo anche l’uomo un tempo si vergognava di essere calvo, faceva il riporto, ma poi ha iniziato a rasarsi a zero e farsi vedere in giro, e oggi un uomo calvo è ordinario, normale. Invece, molte donne calve, per alopecia o chemioterapia, non riescono proprio ad uscire senza la parrucca. Non sai quanto mi piacerebbe uscire a passeggiare, in una grande piazza di Milano o Roma, essendo in cinque, in dieci, donne calve, per dimostrare di non essere extraterrestri, ma delle comunissime donne!

Rasatura e punizione, perché questo legame?

È successo nei campi di sterminio: i tedeschi volevano far sentire le donne ebree umiliate dalla perdita della bellezza. Anche oggi, a volte, le mamme puniscono le ragazzine, magari perché sono state bocciate o per altro, e loro la vivono come un’umiliazione, proprio perché sanno che non saranno più percepite come belle e femminili.
Eppure, ai miei tempi, quando ero giovane, ogni ragazza aveva i capelli come li voleva. Lunghi, corti, c’erano ragazze anche rasate, o con la cresta. Oggi non è più così, e me ne sono accorta anche con mio figlio: voleva tenere i capelli lunghi, e tutti mi spingevano a tagliarglieli.

Miecia Serafinska

Cosa ne pensi di questo conformismo estetico, soprattutto nelle ragazze?

Purtroppo, è un problema che esiste, e me ne sono accorta guardando una puntata di un reality, “Il Collegio”, dove tutte le ragazzine dovevano avere la stessa divisa e taglio, e piangevano per pochi centimetri di capelli in meno. Ma ricrescono! Penso che se chiedessi a una ragazzina se preferisce tagliare la sua maglietta di marca o i capelli, a malincuore taglierebbe la maglietta piuttosto che rinunciare anche a un solo centimetro di capelli. La pressione sociale verso chi si discosta è così tanta che alla fine le ragazzine preferiscono conformarsi.

La scuola dovrebbe parlare dell’alopecia, e in generale delle diversità?

Si dovrebbe parlare delle diversità fisiche e psicologiche, perché solo parlare abbatte l’ignoranza. Io mi sono esposta, e spesso raccolgo domande anche molto invadenti, ma solo parlare crea informazione, e credo che i bambini con l’alopecia e le loro famiglie dovrebbero contattare le scuole per momenti di formazione, sia per educare all’inclusione, sia per far arrivare preparato chi, per puro caso, un giorno dovesse conoscere direttamente questa malattia.

Alcune ragazze, per scelta non conformi agli stereotipi, portano i capelli corti o rasati, ma questo crea problemi sul lavoro, o si sospetta subito che siano LGBT. Perché?

Una ragazza diversa, rasata, viene subito percepita come “strana”, perché ormai i giovani sono tutti fatti con lo stampino, riguardo a vestiti, comportamenti e capelli. Se una ragazza sta bene non aderendo a questi canoni, che male c’è?

Come è iniziata la tua esperienza di divulgatrice sul tema dell’alopecia?

Inizialmente non usavo il mio volto per i video Tik Tok, e quando è successo, tutti hanno iniziato a parlare dei miei capelli, pensando inizialmente che avessi il cancro. Molte follower erano terrorizzate che l’alopecia potesse venire a loro, e altri, dei disturbatori, mi chiamavano “pelata”, scoppiando poi a ridere. Alcuni di loro non erano bulli, ma solo curiosi. Io ho risposto loro che sono pelata, è un dato di fatto, e ho contribuito ad informarli sul tema, tramite il mio canale tik tok e tramite instagram. Avere più canali significherebbe trasformarlo in un lavoro!

Ricevi contatti dai tuoi follower?

Moltissimi. Persino bimbi di 10 anni mi contattano per chiedermi come mai non ho i capelli. Mi contattano anche genitori, e ragazze giovani con l’alopecia o in chemio che mi confessano di non avere il coraggio di togliere la parrucca. Io rispondo che ognuno ha i suoi tempi, e deve esporsi se, quanto e quando vuole. Ricevo anche molti ringraziamenti per il coraggio che trasmetto. Mi contatta anche chi vive altre diversità: do consigli per affrontare i bulli e loro poi mi aggiornano sui risultati.

Quando ti chiamano “pelata”, è bullismo o ignoranza?

È entrambe le cose. Quando mi chiamano pelata, rispondo che sono felicemente pelata, e che se non piaccio loro possono andare in altre live. Spesso mi chiedono scusa. Rispondere pacatamente aiuta a farli riflettere sul loro bullismo. A volte, i miei follower mi difendono, ma in fondo calva, rasata, pelata, comunque, non sono termini offensivi: io lo sono, perché dovrei offendermi?
Poi esistono anche dei veri e proprio haters che si collegano per dirmi che sono brutta. Io li ignoro, e vado per la mia strada.

Cosa consigli a chi dovesse incontrare nella sua strada l’alopecia?

Consiglio di parlarsi allo specchio, di fare questo esercizio, e, pian, piano, accettare ciò che sta accadendo. Questo funziona meglio nel caso in cui l’alopecia arrivi gradualmente, come è successo a me (per tre volte). L’esercizio comprende il dire il proprio nome e dire “io ti amo”. Sembra banale, ma aiuta. Il top sarebbe anche confrontarsi con persone della stessa età, ed è per questo che la visibilità delle persone con l’alopecia aiuterebbe tantissimo.
 

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