Intervistiamo Flavia Brevi ed Ella Marciello, professioniste della comunicazione, che ci parleranno di inclusione, gender gap, e di Hella Network. A loro la parola…
Ciao Ella e Flavia, parlateci un po’ come siete arrivate alla vostra professione tramite la vostra formazione e raccontateci un po’ il progetto.
Flavia: “Sin da piccola ero affascinata dalle storie raccontate dalla pubblicità e da come questa sappia influenzare la nostra cultura attingendo da essa. Quando è arrivato il momento di decidere che facoltà frequentare, non ho avuto dubbi: Scienze della Comunicazione. Peccato solo che fosse meno pratica di quanto pensassi così, dopo la Laurea Triennale, ho deciso di cimentarmi con il lavoro vero e proprio. In Cookies & Partners, la mia prima – e attuale – agenzia, mi sono resa conto di avere un privilegio, ovvero quello di poter lavorare dall’interno per rendere la comunicazione libera da stereotipi e discriminazioni. Ma sapevo che da sola non potevo farcela, così ho chiesto alle professioniste della comunicazione di unirsi in un collettivo per chiedere la parità, anche con i fatti. Così è nata Hella Network, e così ho conosciuto Ella Marciello.”
Ella: “Io non avevo le idee così chiare come quelle di Flavia, pensavo che sarei diventata una giornalista o una professoressa di Lettere. La vita poi mi ha portato altrove e io mi sono sempre tenuta in tasca qualcosa che sapevo mi sarebbe tornata utile: la scrittura. In questo senso, la scrittura per me è diventata una professione, applicata al campo pubblicitario. Le cose però, non erano tutte rose e fiori perché durante gli anni mi ero accorta che l’industria creativa aveva alcuni problemi con le questioni legate al genere. Questa mia insofferenza ha trovato poi Flavia ed Hella Network e si è trasformata in qualcosa di concreto: grazie alle professioniste di Hella lavoriamo per una comunicazione davvero inclusiva, con campagne di sensibilizzazione e attraverso la divulgazione sui nostri canali”.

Flavia Brevi
Comunicazione, ma anche femminismo intersezionale e inclusione: come integrate queste due attività?
F: “Attraverso il linguaggio inclusivo, che tiene conto del fatto che non esiste un unico punto di vista e vissuto. Non è necessario che le aziende si espongano su tematiche politiche: basta scegliere di rappresentare più fedelmente la complessità della nostra società per praticare l’inclusione.”
Fare attivismo è facile quando non c’è un committente e si lavora nel “no profit”, ma è difficile integrarlo in un’attività che per forza di cose deve essere anche remunerativa: chi sono i committenti e i destinatari delle vostre campagne “socialmente impegnate”?
F: “Devo fare una specifica necessaria, perché più volte ci sono stati fraintendimenti su questo punto. I valori di Hella Network sono gli stessi che mettiamo nel nostro lavoro, ma Hella Network non è il nostro lavoro. Tutto ciò che facciamo all’interno del collettivo è a titolo gratuito, anche se ha un costo: quello del nostro tempo e delle nostre competenze. Per fortuna, poi, c’è il lavoro remunerato, che mi permette di vivere e di fare attivismo senza preoccupazioni economiche. Le aziende, le e i clienti con cui collaboro in Cookies & Partners conoscono la mia attività per Hella Network e mi supportano in questo: spesso mi chiedono consiglio per le immagini e le parole da scegliere, oltre che per le idee più creative. Perché sì, si può usare la creatività, e lo humor, e l’ironia usando un linguaggio inclusivo.”
E: “È vero, spesso si è creata questa ambiguità. Come ha già detto Flavia, portiamo il nostro sguardo e la nostra responsabilità all’interno del lavoro di tutti i giorni, che nel mio caso è da creativa freelance. Penso che abbiamo ormai imparato a gestire le resistenze anche dei/delle clienti a un certo tipo di comunicazione, che spesso arrivano semplicemente perché in un mondo così veloce non c’è lo spazio, il tempo o la necessità di comprendere il nuovo. A volte basta davvero argomentare, fare cultura sulla comunicazione inclusiva. Mostrare i risultati, perché ci sono.
Sessismo e professioni digitali: quanta ostilità avete dovuto affrontare e affrontare ancora adesso, e quali sono le vostre armi?
E: “Le professioni digitali, attingendo notevolmente all’ambito tecnologico, portano con sé il pregiudizio radicato che le donne non siano abbastanza o in egual misura capaci e preparate rispetto alla controparte maschile. Sì, è un mondo ancora permeato dalla prevalenza (anche numerica) degli uomini e sì, si fa molta fatica. L’ostilità maggiore è correlata a questo pregiudizio e una delle armi che abbiamo (e che ogni persona ha) è partire dal linguaggio: usare i femminili professionali, ad esempio, per rimarcare che non sono un autore, un copywriter o un direttore creativo: sono un’autrice, una copywriter e una direttrice creativa. In questo modo rafforziamo la nostra presenza e il posto che occupiamo a partire da qualcosa di molto semplice come le parole. Il cosa è lo stesso, il come fa una enorme differenza.

Ella Marciello
Non sono sessismo, ma anche razzismo, abilismo, ageismo e omobitransfobia: siete impegnate anche su questo fronte?
F: “Crediamo in un femminismo intersezionale, quindi sì, siamo impegnate su tutti i fronti. Ma quando si tratta di parlare di questioni che non ci toccano direttamente – come il razzismo, l’ageismo o l’abilismo – preferiamo comportarci da alleate e passare il microfono a chi vive queste discriminazioni sulla propria pelle, piuttosto che metterci al centro del palco. Meglio ascoltare, o fare domande, che dare noi le risposte.”
Copywriting e professioni affini: a volte il gender gap è quasi, in questi settori, più ampio che in altri: perché?
E: “Nelle agenzie creative in Italia la percentuale di forza lavoro femminile è più del 50% eppure pochissime donne ricoprono posizioni di potere. Credo origini dallo stereotipo per cui certe professioni umanistiche (come quelle legate alla scrittura) sono, per storia e cause socioculturali, considerate femminili. Eppure, quante autrici ritroviamo nei libri di testo? Dobbiamo iniziare a considerare in maniera prospettica dati come questo e valutare l’invisibilizzazione delle donne in ambito professionale come un tema che nuoce alla società tutta. Perché i numeri non sbagliano quasi mai: se siamo in maggioranza e pochissime di noi arrivano in cima, sarà solo perché non siamo abbastanza brave? Cosa non stiamo vedendo davvero?
Linguaggio inclusivo, scevà, asterischi, come è possibile creare una via vincente tra user experience, inclusione, e rappresentatività di tutti nei contenuti digitali e non?
E: “Sono tutti tentativi per arginare diversi problemi e sappiamo che sono manchevoli e quindi perfettibili. Credo sia importante comprendere che chi lavora con le parole e con le immagini opera delle scelte, sempre. E queste scelte devono esser fatte nel massimo rispetto di chi guarda, ascolta, interagisce e/o utilizza prodotti di comunicazione o interfacce. È un cammino in divenire e sarà sempre frutto di scelte: il punto è massimizzare la consapevolezza di crea quei prodotti o contenuti.
Grandi conferenze “SEO e dintorni”: relatori maschi e molto mansplaning: perché accade?
F: “Perché finora “si è sempre fatto così” e andava benissimo. Soprattutto agli uomini. 😉 Ora però c’è una consapevolezza e una richiesta diversa, che chi fa comunicazione non può ignorare. Infatti spesso, quando si fa notare che non ci sono relatrici nei panel, parte quella che abbiamo ribattezzato “La tombola delle scuse”, e che è diventata una campagna di Hella Network.”
Professione e gender gap, ma anche inclusione per altre minoranze, come le persone non binarie: come pensate possa essere promossa la buona prassi della carriera alias?
E: “Come già si sta facendo in molti istituti e università credo che al più presto la carriera alias debba sbarcare nei luoghi di lavoro. Serve un forte impegno da parte del management che possa poi davvero coinvolgere le persone nella comprensione e nell’attuazione delle misure necessarie. Si può e si deve partire dal portare awareness sui temi della D&I, lavorare in maniera inclusiva nella comunicazione interna (form/mail/comunicazioni tra management e dipendenti) e, di certo, tenersi alla larga da tutti i washing possibili. Anche identificare tra le persone dipendenti chi possa essere ambassador e advocate di temi rilevanti per la comunità LGBTQA+ è un buon punto di inizio, perché chi vive ogni giorno la discriminazione è la voce che più di tutte le altre deve essere ascoltata. I buoni esempi cambiano il mondo.
Pronomi su linkedin, vedo che avete aderito. A volte queste operazioni “di massa”, così come dei personaggi “potenti” proposti da serie Netflix e Amazon, arrivano dove noi, attivisti canonici, non arriviamo. Qual è la strada più efficace per l’inclusione?
F: “Mi piacerebbe dirti come si trova questa strada, ma la verità è che non è ancora stata tracciata, siamo più in un terreno di sperimentazione dove procediamo per tentativi. Credo che sia giusto che ognuno trovi il suo modo, quello che lo fa sentire più a suo agio, dando retta ai segnali che ci inviano le altre persone attiviste e, soprattutto, chi vive sulla propria pelle certe discriminazioni.”

Ella Marciello credits : Andrea Verzola