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Le ferite aperte del separatismo lesbico sulla condizione ftm non med

Ftm in Italia, binder, separatismo radfem, lesbiche non binary

Il coming out di Elliot Page come transgender ha causato reazioni scomposte all’interno di Arcilesbica Nazionale, che ha iniziato a postare a raffica una satira che prendeva in giro l’autodeterminazione dell’attore, che in passato aveva fatto coming out come donna lesbica.

Dopo le tante critiche, molte delle quali pacate (ma passano sempre in sordina, se sono pacate), Cristina Gramolini fa una lunga lettera, che tocca tanti punti (persone trans nello sport, transizioni minorili), parzialmente fuoritema con la reazione che hanno avuto in relazione al coming out di Elliot page, e l’unico punto pertinente è questo:

Le persone transgender vogliono il cambio anagrafico di sesso senza operarsi e anche senza ormoni né diagnosi, come E. Page a quanto pare. Figuriamoci se gli uomini considerano come uno di loro una donna che si dichiara uomo. E le donne? Ma dicono di sì perché bisogna essere inclusivi a costo di essere ipocriti, presumere la sofferenza e fingere di non vedere quello che vediamo!

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“Non sono io che non ti accetto, sono loro che rideranno di te…”

In pratica, Cristina Gramolini attacca Elliot Page perché si è presentato al mondo come transgender non binario, senza manifestare, almeno al momento, il desiderio di un intervento ai genitali, l’assunzione di testosterone, e senza una “diagnosi” di uno psichiatra cis che gli dia il permesso di definirsi al maschile.
Il commento di Cristina ricorda tante reazioni ai coming out (anche omosessuali) avute da genitori conservatori: “Non sono io che non ti accetto ma…figuriamoci se gli altri ti accetteranno“.
Cristina, con un uso abile della parole, quindi sposta il problema negli “altri”, nel mondo eterosessuale, o in particolare nel mondo maschile, decidendo, senza aver mai vissuto come uomo transgender, che gli uomini non considereranno uno di loro un ragazzo transgender (ovviamente preferisce usare parole offensive, in salsa gender-critical, come “donna che si dichiara uomo“).
Cristina, però, non condanna questi fantomatici uomini biologicamente maschi che non accetteranno come uomo Elliot Page o i ragazzi transgender non medicalizzati: anzi invita a smettere di “fingere di non vedere quello che vediamo“, e di “essere ipocriti“.
In poche parole, Cristina consiglia al presunto uomo eterosessuale, biologicamente maschio, di vedere in Elliot Page un bel corpo femminile, e di non “fingere di vedere altro”. O mi sbaglio?
La “preoccupazione” che quell’ftm non sarà mai incluso ed accettato non è una reale preoccupazione, ma un augurio: dobbiamo smettere di rispettare le persone che non hanno un buon “passing”, dobbiamo basarci su “quello che vediamo, e in base a quello, declinare nomi anagrafici e genere grammaticale.

Non “partono da sè” ma pontificano su vissuti che non conoscono

Se molti uomini ftm hanno vissuto sulla loro pelle l’esperienza del presentarsi al mondo come donna lesbica (io no, ma Elliot senz’altro), si può dire con certezza che Cristina e le altre attiviste di Arcilesbica non hanno un passato da uomo ftm, e le considerazioni su come verrebbe accolto un coming out sono solo supposizioni.
Potrei dimostrarle, facendo qualcosa che è sempre stato amato nel femminismo, ovvero il “partire da sé“, che in molti casi non ho avuto problemi con uomini etero a cui mi ero presentato, o ero stato presentato da altri, come ragazzo/uomo (a volte spiegando che ero transgender, a volte senza neanche spiegarlo).
Non è così vero che le persone eterosessuali (sia uomini che donne, o in particolare gli uomini) o le persone di sesso maschile (sia etero che gay/bi, o in particolare gli etero) siano maggiormente predisposte ad ignorare i nostri coming out.
Potrei fare tanti esempi di uomini eterosessuali, lontanissimi dall’attivismo, che non hanno avuto problemi con me, come potrei fare esempi di donne etero, uomini gay/bi, e donne lesbiche/bi lontane dall’attivismo.

A volte un ftm senza passing decide di non fare coming out con qualcuno

Questo non vuole essere un tentativo di “non voler vedere il Re Nudo”, perché è vero che un coming out trans, non supportato dalla narrazione di imminenti cambiamenti estetici, o dal passing, tende ad essere ignorato.
Alla luce di questo, talvolta, la persona transgender non med preferisce non fare coming out, che non significa “presentarsi come donna” o “presentarsi col proprio nome anagrafico”, ma rimanere in un campo neutro, senza troppe indagini o spiegazioni, e senza troppe correzioni all’interlocutore ignaro della propria condizione.
Ad esempio, se mi rubassero lo scooter, e dovessi andare a fare la denuncia dai Carabinieri, preferirei semplicemente dare loro i miei documenti non rettificati, spiegare i dettagli del furto, senza entrare nel merito del mio essere transgender (a meno che l’argomento non uscisse fuori), in un ambiente ostile e conservatore, visto che non sarebbe pertinente al motivo per cui sono lì (e visto che lo scooter non sarebbe stato rubato per “transfobia”).
Non è infatti vero che le persone transgender non med e non binary sono degli “isterici” che scattano ogni volta che vengono misgenderate da estranei, ignari della loro condizione. Quando il passing “non funziona” e si viene percepiti come appartenenti al proprio sesso biologico, semplicemente si decide se chiarire o meno, in base a quanto l’interlocutore sia potenzialmente reazionario e in base alla profondità/continuità del rapporto sociale che dobbiamo avere con quella persona. A volte, esattamente come succede a persone gay o lesbiche, si decide di soprassedere, non correggere e non spiegare, perché non ne vale la pena e perché, non tutelati da dei dati anagrafici a supporto della nostra identità, sarebbe un coming out perdente. Molto ho scritto sul fatto che gli ftm, medicalizzati e non, non esistono nell’immaginario collettivo, e che questo ci porta a fare coming out in contesti in cui ne valga la pena (la famiglia d’origine, i e le potenziali partner, gli amici, i contatti di lavoro più stretti o continuativi) e soprassedere in altri casi (la panettiera, il carabiniere).
Gli equilibri della vita di una persona transgender non med (o di una persona non binary di biologia xx) dovrebbero essere affari delle persone T, che quelle condizioni le vivono, e non di chi pontifica da fuori, senza aver capito quelle condizioni esistenziali, senza averne rispetto, senza averle vissute.

La finta “preferenza” per le persone ftm in percorsi canonici e medicalizzati…

Anche se nei casi Ciro Migliore ed Elliot Page, i misgendering ed i deadnaming sono stati giustificati con Non sono veramente transessuali, non prendono ormoni”, spesso, l’associazionismo RadFem, Arci-lesbico, della Libreria delle Donne e di realtà simili, attacca anche i percorsi canonici, usando l’escamotage di “fare informazione sui danni del percorso ormonale“, attaccando l’uso del binder (canotta per rendere meno visibile il petto femminile), degli ormoni  e degli interventi.
Infatti, nonostante l’attivismo gender critical attacchi principalmente i minori, sui maggiorenni viene detto “Anche loro stanno rovinando il loro corpo, amputando organi sani, rendendo sterile il loro corpo, maturando una dipendenza a vita dagli ormoni…ma siccome sono maggiorenni, consenzienti e vaccinati non li costringeremo a smettere.
Alla luce di questo, come si fa ad essere contemporaneamente ostili al percorso med, e anche a quello non med?
La domanda sorge spontanea: quindi, una persona transgender, per essere considerata degna da loro, che tipo di percorso dovrebbe intraprendere?
Se quello “non med” è ridicolo, e i maschi ci ridono dietro, se quello “med” distrugge il nostro corpo, allora quale alternativa rimane? Vivere come lesbiche (se ci piacciono le donne) o come femministe radicali etero (se ci piacciono gli uomini)?
Anche dei coming out gay prima si rideva. E dei coming out lesbici, spesso, si ride ancora (o quantomeno vengono ignorati, perché la persona xx non vale nulla in società, e quindi non vale nulla neanche il suo coming out).
Una donna lesbica, però, non accetterebbe mai che le si consigliasse di vivere da donna eterosessuale perché il mondo non è pronto ad accoglierla senza farsi una risata o senza ignorarla.
Perché questo consiglio viene dato a noi?
Non entro nel merito dei minori T (anche se non capisco perché arrivino a dire che “non esistono” quando semmai ha senso chiedersi come andrebbero accompagnati nel loro periodo questioning), ma non si può contemporaneamente lottare contro la loro medicalizzazione, ma anche contro la possibilità che siano accettati con l’identità che hanno scelto, senza medicalizzazione. Anche qui, sembra che l’unica strada lecita e legittima sia quella lesbica.

Conclusioni

Io credo che il movimento lesbico stia vivendo un problema: il fatto che molte giovani donne preferirebbero qualsiasi termine a “lesbica”, per definirsi, come giustamente denuncia Cristina Gramolini. Il problema, però, non riguarda quelle persone che, facendo un lavoro di introspezione, si rendono conto di far parte più della T che della L, e che il loro tema sia più l’identità di genere che il lesbismo, perché si tratta di poche persone, e sovradeterminarle, annullare il loro coming out, non è utile, ma solo offensivo.
Il problema, al limite, riguarda tutte quelle donne che di fatto sono lesbiche (donne attratte esclusivamente da donne) ma che, per vari motivi, che andrebbero ascoltati senza giudizio, non desiderano definirsi lesbica. Anche visti i grandi numeri di queste donne, forse è su queste che si dovrebbe puntare, e non su ftm e non binary, che, dichiarandosi tali, si espongono a derisioni, cancellazione del proprio coming out, discriminazioni pesanti (ebbene sì: anche più pesanti di quelle che subisce una lesbica).
Non voglio fare mansplaining (a parte il fatto che è ridicono che si dica che una persona nata xx, che ancora da molti viene scambiato per donna, e che non ha mai avuto “il privilegio maschile”, sia accusata di mansplaining…al massimo, non so, di transplaining?) ma io credo che siano quelle (le donne lesbiche “velate” o quelle che hanno scelto altri termini al posto di lesbica, e non hanno neanche uno spazio per spiegare il perché) le donne con cui il movimento lesbico dovrebbe dialogare.
Se ho fatto questa riflessione è semplicemente perché questo problema, sicuramente reale (il fatto che poche donne scelgono la parola “lesbica” per definirsi), ha creato poi un problema alla mia comunità (quella transgender e non binary), con continui attacchi che noi persone transgender di origine biologica femminile dobbiamo subire, con insinuazione del fatto che saremmo semplicemente “lesbiche che non si accettano“.

 

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