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Valentina Beoni, detransitioner e desister sì, ma non “pentita” del percorso transgender

Ho conosciuto Valentina nel suo periodo in cui viveva come trans ftm (periodo durato dai 18 ai 27 anni).
Siamo poi rimasti in contatto, e ho pensato che fosse giusto dare la possibilità di narrarsi anche alle persone “destister”, e non solo in ambienti gender critical.
E’ giusto che le storie delle persone desister/detransitioner arrivino anche alle persone transgender e alle persone questioning, soprattutto quando, come nel caso di Valentina, si ha il massimo rispetto per i percorsi altrui.

Ciao Valentina, due parole per presentarti…

Valentina Beoni, classe 1992 (28 anni), vivo a Binasco (MI), ho studiato in conservatorio chitarra classica e pianoforte attualmente studio Biologia alla triennale e lavoro come receptionist a Milano. 

Come è iniziato il percorso che ti ha portato a definirti come ragazzo trans?

Ho iniziato a immaginarmi bambino molto presto, tanto che non ho un ricordo di me bambina felice di essere femmina. Sono la primogenita di quattro figli, gli altri tre sono tutti maschi e ho questo ricordo chiaro nella mente di quando ho aiutato mia madre a cambiare il pannolino di mio fratello: mi sono chiesta cosa avesse tra le gambe e perché io non lo avevo.
L’idea di essere uomo trans non mi era mai passata per la testa, credevo semplicemente di essere lesbica ma al tempo stesso pensavo che “lesbica” significasse “donna che vuole essere uomo”. Quando è uscita la notizia di Thomas Beatie (l’uomo incinto) ho scoperto della possibilità di intraprendere la transizione e lì non ci ho pensato due volte, mi sono subito rivolta prima a mia madre (facendo un rapido coming out) e poi all’associazione di persone transgender.
Ricordo che sono entrata dicendo “salve, io voglio diventare un uomo!” e già quella frase li aveva lasciati un po’ perplessi.

Quando ti definivi uomo trans, per te era una questione identitaria (essere di identità di genere maschile) o era più una questione fisica (il desiderio di avere le sembianze fisiche di un uomo biologicamente maschio)?

Per me essere uomo era una questione meramente fisica: avere la barba, la voce grossa e mi piaceva l’idea di avere forme meno tondeggianti, inoltre non sopportavo il seno e il ciclo mestruale. Il fatto di non avere il pene mi faceva sentire molto in difetto e inadeguato come uomo, anche perché la mia idea non era semplicemente essere un uomo a livello di genere, ma volevo essere un maschio a tutti gli effetti (cosa che poi ho realizzato non possibile).

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Il fulcro della tua detransizione è l’interruzione delle modifiche fisiche o il riappropriarsi della definizione di donna e lesbica? (lo chiedo perché alcune persone, invece,  interrompono le modifiche corporee ma continuano a definirsi transgender o non binary).

Bella domanda. Per quanto riguarda il fulcro della scelta in realtà è stato proprio il riappropriarsi del mio essere donna, donna lesbica e donna lesbica di genere non conforme. In verità i cambiamenti fisici derivati dagli ormoni non mi hanno mai dato davvero fastidio, ciò che mi faceva soffrire era il non essere autentica e la ricerca costante di un essere maschio a tutti gli effetti. Quando ho compreso la questione molto scontata e basilare che non avrei potuto davvero cambiare sesso ho deciso di interrompere le cure e onestamente il fatto di non poter tornare perfettamente indietro non mi spaventa, poiché avere un aspetto maschile non mi turba affatto. Il punto è che mi sento più a mio agio nella mia identità di donna di genere non conforme perché credo che le premesse iniziali che mi hanno portata a intraprendere la transizione fossero sbagliate in partenza: io volevo cambiare sesso al cento per cento, cosa che non è possibile. Mi avevano anche detto all’associazione di Milano che la transizione era un percorso per trovare serenità e sentirsi più a proprio agio e non per diventare qualcos’altro da ciò che si è… non li ho ascoltati.

 

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Come ti relazioni al periodo che hai vissuto come uomo trans? Ti percepisci come una donna lesbica che lo è sempre stata, e che “si credeva” un uomo trans, oppure come una donna lesbica che “è stata” un uomo trans per una fase della sua vita?

E’ difficile dare una risposta a questa domanda. Premetto che pur non essendo un’esperta del campo né un medico ho una mia personale idea sulla transizione e sulla disforia di genere. Non credo esistano “veri transessuali” e falsi transessuali. Semplicemente nella vita si può cambiare e l’importante è il rispetto della libertà di autodeterminazione dell’individuo. Ci sono persone che attraversano un periodo di sperimentazione da omosessuali e poi iniziano a sperimentarsi come eterosessuali. Non è un “ritorno” all’eterosessualità, ma un cambiamento che può essere scatenato da moltissimi fattori. Ciò non significa che bisogna aderire a movimenti estremisti religiosi e andare in giro a dire che l’omosessualità è peccato e che si può “guarire”. Lo stesso vale per il transessualismo. Al di là della disforia di genere che è considerata una condizione medica, una persona è semplicemente libera di cambiare il proprio corpo, tutto qui. Ed è anche libera di ri-cambiarlo e “tornare” a identificarsi col proprio sesso biologico, senza necessariamente dare una spiegazione o imporre agli altri la propria esperienza. In conclusione per quanto riguarda la mia personale esperienza potrebbe essere stato un errore di introspezione, ma non saprò mai con certezza come mai mi sentissi bambino in età così precoce. 

Se non avessi fatto un percorso che ti ha fatto sperimentare come “Valentino”, avresti potuto “riappacificarti” con Valentina e capire che il percorso T non era la tua strada?

La transizione per me non è stata il male assoluto. Lo sarebbe stato se avessi fatto l’operazione, ma fortunatamente mi sono fermata prima (grazie a uno psichiatra specialista molto bravo che per anni mi ha “impedito” di fare l’operazione). Avere un aspetto mascolino non mi infastidisce minimamente, tanto che la barba mi è indifferente (la toglierò per motivi puramente sociali, per essere riconosciuta come donna, ma a dire il vero non mi dà fastidio). E’ stato un percorso che mi è servito per capirmi meglio, sia a livello sessuale che a livello di personalità. Se oggi mi sono ritrovata e mi trovo bene come donna lesbica è anche perché ho intrapreso questo percorso.

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Rimproveri qualcosa a chi ti ha accompagnato in questo percorso? E, se sì, cosa?

Per quanto riguarda il mio caso non attribuisco colpe a nessuno, certamente avrebbe dovuto essere un percorso un po’ più lungo e strutturato, dato che ho iniziato gli ormoni dopo pochissime sedute, se non ricordo male 2 massimo 3. Credo che l’errore maggiore sia la mancanza in generale di persone davvero specializzate in transessualità, inoltre credo che gli specialisti dovrebbero prendere in esame i casi di detransizione per comprendere le motivazioni alla base dell’intenzione di fare la transizione, che in alcuni casi sono omofobia interiorizzata o nel caso ftm anche misoginia interiorizzata (gran parte dei casi di desisters hanno iniziato la transizione spinti da omofobia/misoginia). Inoltre dovrebbero informare sin da subito i soggetti interessati degli effetti della terapia ormonale e della eventualità che il percorso non sia reversibile (nel mio caso ad esempio mi era stato detto che il percorso era reversibile).

Essere desister comporta per forza l’essere gender critical?

Non credo ci sia alcun legame tra essere desister ed essere gender critical. Poi sottolineo che sono vicina al mondo gender critical ma non a tutto, mantengo le mie idee, mi faccio avvicinare soltanto da chi rispetta il percorso delle persone trans e specifico sempre che non sono contraria alla transizione per le persone adulte.

Cosa pensi dei/delle desister che pensano che tutte le persone transgender sono in realtà omosessuali vittime di transfobia o misoginia interiorizzata?

Che non c’è molta differenza tra loro e gli estremisti religiosi che da omosessuali sono “tornati” etero e vanno in giro a dire che l’amore puro è solo eterosessuale.

Secondo te, come ci si dovrebbe comportare con i minori gender-questioning?

Credo che lasciare un bambino o bambina libero/a di indossare gli abiti che preferisce, giocare ai giochi che preferisce ecc sia una cosa positiva a prescindere dalla disforia di genere. Per quanto riguarda il nome diventa un attimo un po’ più complicato, ma credo che si possa trovare una soluzione, come un nome neutro, o il diminutivo (quando ho iniziato la transizione mi han sempre chiamato Vale, mai Valentino o Valentina).

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5 commenti su “Valentina Beoni, detransitioner e desister sì, ma non “pentita” del percorso transgender”

  1. Interessante articolo! Chissà se in futuro nasceranno comunità detransitioner e ‘cisgender non conforming’ anche in Italia, senza l’impiccio TERF.
    Avevo scoperto Valentina su YT, per caso, aveva postato una bellissima versione dell’Amleto che poi purtroppo ha tolto! Mi piaceva ascoltarla, ho la fissa dei monologhi e delle poesie

  2. Pingback: Lettera a Luxuria, da parte di Valentina Beoni - Progetto Genderqueer - Cultura Transgender Non Med e Non Binary

  3. Per questo esistono dei protocolli che prevedono percorsi molto rigidi. Senza dimenticare che ogni persona è a sé e non esiste la ricetta giusta per tutti, ciò che conta veramente e fare comprendere alla persona molto giovane che si rivolge al team di specialisti che, anche se la sua sofferenza è reale e comprensibile, deve avere il tempo di sedimentare. Non tutti a 18-20 anni hanno la maturità psicologica o la conoscenza di sé necessaria ad affrontare un percorso così delicato e anche doloroso. Bisogna avere grandissima attenzione al vissuto della singola persona, alla sua fragilità, alla condizione che vive, al suo potenziale e così via. La parte psicologica di tutto il percorso di transizione è probabilmente quella più importante per la persona, perché determina tutto il proseguimento del percorso e perché lo deve accompagnare ancora nel tempo. D’altronde la disforia di genere, anche se affrontata in ambito sanitario, di per sé non è una condizione patologica, ma può essere il substrato in cui si sviluppano altre condizioni, anche patologiche (autolesionismo, disturbi alimentari, depressione ecc.) Avere testimonianza di ragazzi e ragazze che hanno deciso ad un certo punto di non seguire più il classico iter ‘psicologo-ormoni-udienze-interventi-riassegnazione dei documenti’ è importante per avere una maggiore flessibilità, seppure nel rigore che i protocolli richiedono, per affrontare il percorso di transizione uscendo dal mero binarismo e soprattutto dal trattare identità sessuale, identità di genere percepita e identità sociale come tre aspetti sì correlati, ma che possono seguire logiche del tutto autonome.

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