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Lockdown, Covid e Persone LGBT

Per le persone LGBT la quarantena ha rappresentato un miglioramento o un peggioramento di vita? Che differenze tra velati e dichiarati? cosa cambia a seconda di chi sono i nostri “compagni di quarantena”?

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Ho temporeggiato prima di scrivere su come noi persone LGBT, e in particolare T, ci stiamo vivendo questa quarantena, perché partecipare ai gruppi di condivisione e socializzazione virtuali mi ha dato la possibilità di confrontarmi con altre persone in condizioni simili alla mia.

La quarantena? un miglioramento della qualità della vita

Personalmente, ho considerato la quarantena un miglioramento alla mia vita. Si sono autoeliminate un sacco di prassi stressanti e disforiche che accettavo come dato di fatto ineliminabile: il “ciao cara” della signora del bar di fronte all’ufficio, misgendering vari, non poter mostrare le gambe pelose in estate, non potermi far crescere “il pizzetto”, dover stare fasciato per intere giornate, e così via.

Lo smart working permette di avere con colleghi, capi e clienti i contatti minimi, e quindi di evitare tutti gli episodi di involontaria disforia che queste persone, loro malgrado ci causano, e credo sia così anche per chi, universitario o liceale, stia approcciando la didattica online.

La vita domestica: dipende da con chi sei…

Per quanto riguarda, invece, le dinamiche inter-relazionali in casa, credo che molto dipenda dal “con chi” noi stiamo vivendo la quarantena.
Penso che la mia sensazione di benessere dipenda dal fatto che sto trascorrendo la quarantena col partner, una persona che ha un orientamento rivolto verso il mio genere (gli uomini), e che come uomo mi ha conosciuto e scelto.
Penso che sia difficile per chi, invece, è in relazioni in cui vi è una cancellazione del proprio orientamento sessuale e/o identità di genere, o, caso ancor peggiore, in cui la persona deve condividere gli spazi con la famiglia d’origine, per problemi economici, o per via della loro salute o bisogno di assistenza, soprattutto nel caso in cui queste persone non conoscono, o non accettano, l’identità di genere e/o l’orientamento sessuale della persona rainbow.

Misgendering, deadnaming, per persone transgender/non binary ricoverate

Il mio pensiero va anche a chi, essendo stato esposto al Covid, ha dovuto subire un ricovero, senza avere il proprio nome e genere sui documenti. Sicuramente si tratta di un pesante dramma che ci riporta a quello che non ci piace di noi: la realtà del corpo, delle sue esigenze, la malattia, la cura, l’essere ricoverati in un reparto insieme alle persone del nostro sesso d’origine, e subire continuamente deadnaming. Si aggiunge un certo benaltrismo, di chi, il personale sanitario, nel pesante tour de force del lavoro ai tempi del Covid, non ha tempo e voglia di stare attento al nostro genere.

Lockdown, Covid e Persone LGBT

Velatismo e coming out: chi di noi è stato “premiato”?

Dura la vita per i “velati” sul lavoro, che devono nascondere dietro la tenda il compagno o compagna, quando parte la chiamata dello smart working, e alcune “bugie bianche” che venivano raccontate ai colleghi, sul o sulla partner, non sarebbe carino dirle proprio davanti a lui/lei, lì presente nella nostra casa. Spero che lo smart working stia dando il la per una serie di coming out, anche perché, con la distanza, i nostri capi e colleghi possono meglio assimilare la notizia.

La quarantena è stata “premiante” per chi aveva fatto coming out? Sicuramente se la passa male chi, totalmente velato, viveva la sua identità/orientamento solo tramite account social secondari, o portali LGBT, e adesso non può prendersi le sue evasioni, virtuali e non, se a stretto controllo di chi, in casa, non sa.
Forse chi, prima della quarantena, si è esposto, dovrebbe sentirsi “premiato”, eppure c’è chi, dopo il coming out, era rimasto solo. Abbandonato/a da partner e/o famiglia, sta facendo la sua quarantena da solo/a, e molte sono le persone che minacciano il suicidio o manifestano disagio, esattamente come molto è lo sciacallaggio di psicologi e counselor che approfittano per cercare nuovi clienti a caro prezzo, con continue inserzioni su facebook.
A queste persone, molte delle quali sono lettori del blog, consiglio di immaginare se starebbe meglio senza quel coming out, oppresso/a dal dover recitare con una famiglia d’origine, o con un/una partner ignaro/a, dal cui sguardo doveva fuggire continuamente: non sarebbe finita con un coming out esplosivo in un momento in cui non ci sono le condizioni per andar via e cercare altrove i propri spazi?

Persone rainbow: e se fossimo arrivati più “preparati” a questa quarantena?

Alla luce di questo, mi chiedo se, abituati al perdere persone, all’isolamento, a doverci nascondere, non siamo, in realtà, i maggiormente preparati a questa quarantena.
Immagino conoscenti eterosessuali cisgender, abituati alla “movida”, a tutte quelle realtà (il calcio, ad esempio, le discoteche) da cui sempre è stato incluso, alle uscite in grandi comitive di giovani coppie con figli, in cui si passavano intere serate a parlare di pannolini, mutui e separazioni, che adesso devono imparare a fare i conti con la solitudine.

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Una lezione di vita per i “cis-het”

Chissà se questa quarantena può essere, per gli etero, una lezione, un modo di capire che la segregazione non è solo fisica, ma che certe persone, gay, lesbiche, bisessuali, ma soprattutto transgender o non binary, in certi luoghi e gruppi di persone ci potevano pure, fisicamente, accedere, ma ne erano comunque escluse. E’ forse un’occasione per imparare una lezione? Per capire come, da sempre, ci sentiamo noi?

Riflessioni sul “post quarantena”

E noi, che stiamo così bene, al sicuro, nelle nostre case accoglienti, con le persone che di noi sanno, con cui abbiamo costruito qualcosa, a viso aperto, non nascondendo la nostra identità, come vivremo il ritorno a tutti quei misgendering, a tutti quei dialoghi con conoscenti ed estranei per cui siamo “cishet” (cisgender ed eterosessuali), il bisogno di dare continue spiegazioni, oppure il rinunciare a darle, perché è troppo faticoso e spesso inutile.
Ce la faremo a tornare in quella società che ci permetterà nuovamente di uscire, ma che di fatto non ci ha mai davvero voluto?

Non so quanto saranno “in agenda” i nostri diritti dopo il CoronaVirus, ma so che quest’esperienza genererà senz’altro un cambiamento, nelle nostre coscienze, una nuova consapevolezza che sarà impossibile archiviare. Comunque andrà, le nostre vite, le nostre identità, il nostro “essere sociale”, non sarà più lo stesso, e questa sarà comunque una grande opportunità di riflessione su come vogliamo davvero rapportarci in società, per non continuare la “quarantena” anche fuori dalla porta delle nostre case.

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