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Intervista a Piergiorgio Paterlini: il mio amore non può farti male

Il mio amore non può farti male: intervista a Piergiorgio Paterlini

Intervistiamo Piergiorgio Paterlini, scrittore e giornalista, autore di “Ragazzi che amano ragazzi” (1991), libro che ha cambiato l’immaginario di più generazioni di persone omosessuali, rimanendo letteralmente sommerso da lettere di lettori e lettrici, e che adesso ha scritto un libro su Harvey Milk, “Il mio amore non può farti male, vita (e morte) di Harvey Milk.

il mio amore non può farti male

Piergiorgio Paterlini, sei stato il punto di riferimento di generazioni di giovani omosessuali: che in quel “Pater” contenuto nel tuo nome ci sia un destino?

Destino o no – “nomen omen” – un po’ papà lo sono sempre stato, in effetti.

Quale l’età media di chi ti scrive?

Dai 13 ai 70 anni e oltre. Ma la media non credo faccia 40.

Centinaia, forse migliaia, di lettere ricevute negli anni. Cosa è cambiato dagli anni 90? Cosa cambia tra Nord e Sud? Da città a provincia?

Migliaia, migliaia. Dovremmo essere attorno alle 10.000 in 30 anni. Mi è capitato di calcolare che fa – la media qui ha senso – una al giorno. Per tre decenni.
Nord e Sud per la mia esperienza non ha mai fatto differenza vera. Idem per città e provincia. Sorprendente ma è così.

Coming out? Quali quelli più temuti? A scuola? Sul lavoro? in famiglia?

Famiglia, senza dubbio. Cosa che fa molto pensare a molte cose.

Cosa è cambiato dagli anni Novanta?

Ci vorrebbe un intero libro per un’analisi minimamente accettabile.

“Velatismo”: ti scrivono anche persone che vivono apparenti vite eterosessuali? magari con mogli, compagne, fidanzate e figli, o forse questo succedeva più nel passato?

No, in genere no. Ma – ovviamente – quasi tutti quelli che mi scrivono hanno avuto periodi più o meno lunghi di “velatismo”, per usare la tua espressione. Mi scrivono dopo, quando hanno smesso – da poco o da tanto – di giocare a nascondino.

Ti scrivono e ti hanno scritto solo ragazzi o anche ragazze? Quali eventuali differenze?

Anche ragazze. Moltissime. Nessuna differenza. E questo mi ha definitivamente convinto che il mio libro era, è – come volevo – letteratura. Non giornalismo. Perché il giornalismo dura un giorno, la letteratura dura per sempre. Ma soprattutto è solo nei “personaggi” di un romanzo o di un racconto che puoi identificarti profondamente e tendenzialmente per sempre. Al di là del genere, del tempo, del contesto. Quando leggi Dostoevskij (e sia chiaro che non mi sto paragonando, o un po’ sì, perché no, del resto?) ti identifichi nei personaggi e nelle situazioni e nelle emozioni ecc ecc ecc che tu sia un maschio o una femmina e spesso indipendentemente dal fatto che il personaggio sia maschile o femminile. Soprattutto non ti rendi neanche conto che stai leggendo un libro magari su un treno ad Alta Velocità e i personaggi in cui ti identifichi, che ti commuovono, che so, si stanno spostando in carrozze guidate da cocchieri. La letteratura è questo miracolo. E questa non credo sia l’ultima delle ragioni della straordinaria, inaspettata e rarissima longevità (e attualità ancora oggi, nonostante racconti un mondo scomparso) di “Ragazzi che amano ragazzi”.

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Parliamo della tua ultima opera su Harvey Milk, “il mio amore non può farti male“: come mai la scelta di questo bellissimo titolo? E’ una citazione?

Ho inventato questo titolo perché era bellissimo. No, non è una citazione.

Quali tratti senti affini di questo personaggio e quali senti più distanti?

Sarebbe un discorso molto lungo e complesso. Mi identifico in alcune cose, in altre meno. Mi sembra importante soprattutto oggi sottolineare la sua ferma convinzione della necessità della politica. E l’idea che puoi anche essere eletto da una “lobby”, ma poi devi rappresentare tutti e occuparti di tutti e dei problemi di tutti.

Perché la scelta della prima persona e come hai gestito il rischio di tradire il personaggio “interepretandolo” tramite le tue parole?

La prima persona perché ormai è la mia scelta stilistica di gran lunga prevalente. E poi perché è sicuramente quella più coinvolgente per il lettore, rivolgersi a lui in modo diretto, come se gli stessi parlando. Sono stato molto fedele ai dati storici e ho anche inventato molto, mi sono preso insomma tutta la mia libertà di narratore, trattandosi programmaticamente di una “biografia romanzata“. E’ stato anche il modo per fare il punto e ribadire le principali convinzioni e battaglie mie di questi anni. Ho dato voce a Milk e Milk ha dato voce a me. Senza tradirlo, credo. Senza “utilizzarlo” strumentalmente, con grande rispetto anzi.

Ti rivolgi a giovani LGBT o anche a persone eterosessuali da formare?

A tutti. Assolutamente.

Ti rivolgi a lettori di che età?

Parlo a un ragazzo o a una ragazza di 13 anni. Ma – scrivendo – ho sempre avuto in mente lettori di ogni età.

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Entrare nell’immaginario: noi persone T, soprattutto ftm, ci poniamo l’obiettivo politico di “entrare nell’immaginario collettivo“, essere riconosciuti per quello che siamo, essere rispettati, diventare i fratelli, i colleghi di lavoro, i cognati di qualcuno: essere “ordinari”.
Questo lavoro è stato fatto prima dalle donne T e prima ancora dalle persone omosessuali, e tu hai fatto parte di questo lavoro culturale: vuoi parlarcene?

Mi servirebbe anche qui un intero libro. Ma forse lo hai già riassunto bene tu. Lavorare per rendere visibili gli invisibili (che per me è il primo diritto, poiché equivale al diritto di vivere, nientemeno) e renderli “ordinari”: una parola che soprattutto oggi trovo molto coraggiosa e che condivido completamente. Quando è uscito “Ragazzi che amano ragazzi” qualcuno si è indignato perché questi ragazzi, invece di sognare la rivoluzione, sognavano di poter andare a fare la spesa insieme al supermercato tenendosi per mano (senza essere insultati o aggrediti, ovviamente). Allora, e forse anche oggi, è questo che è rivoluzionario, altro che la riproposizione di modelli vecchi, superati, “banali”. Per andare oltre tutto questo – e certo che bisognerà andarci – occorre però passare prima per questa fondamentale comprensione.

Infine, che messaggio lanci ai e alle giovani LGBT di oggi?

Lo stesso di Milk: la speranza in un futuro migliore, una speranza fatta di impegno per costruirlo, questo futuro migliore.

 

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