Passing Woman: le persone non binary e transgender dell’antichità
Video dell’intervista

Si avvicinò a me parlandomi di Caterina Vizzani e definendola “passing woman” (il nome che descrive il fenomeno delle persone di biologia femminile, che, nel passato, hanno indossato panni, e identità, al maschile), dicendo che io avrei dovuto interessarmi al fenomeno, in quanto “simile a loro”.
Sentendo “Caterina”, e “woman”, gli dissi che si stava sbagliando e sicuramene non era argomento di mio interesse (in realtà avevo grossolanamente trattato il tema qui).
Sono passati tanti anni e, da uomo xx e non med, penso che, a dispetto del nome che descrive queste persone, facendo leva sulla loro biologia e non sulla loro identità sociale, forse è interessante che un ftm, per trovare “le sue origini storiche e sociali”, si informi su queste persone, le loro vite e le loro identità sociali.
Informato del fatto che Giovanni ha appena finito una ricerca su vecchi ritagli di giornale (ora pubblicata su Wikipink), che raccontano le vicende di queste persone “passing”, ho deciso di intervistarlo sui miei tanti quesiti sul tema.
Le immagini sono tratte dalla galleria di Wikipink
Prima di lasciarvi alla visione del video, vi accenno alcune riflessioni che ho fatto dopo l’intervista e alcuni contenuti dell’intervista stessa.

A favorire questa possibilità, la presenza degli adolescenti nel mondo del lavoro, che aiutavano una ragazza a “passare” per un giovanissimo ragazzo.
Il fatto che molti di loro fossero scoperti solo in caso di morte, malattia, o problemi con la legge dimostra che vi era una sorta di “connivenza” conscia o inconscia, poiché il binarismo sociale era tale che era più semplice includere la persona “passing” come ragazzo biologicamente maschio ed esteticamente poco virile che per quello che era: era davvero “impensabile” che una donna potesse fare una cosa del genere, fatto che, più che avversione, generava derisione, proprio in quanto impensabile che una donna potesse “osare” tanto.
Interessante il caso di Giovanni Bordoni, all’anagrafe Caterina Vizzani, il cui modo d’essere era persino sostenuto dall’umile famiglia di provenienza, caso che ci fa capire che forse la varianza di genere dovrebbe essere accolta come una delle tante opzioni, e non “patologizzata”.
Forse questi “nonni” avrebbero bisogno di maggiore attenzione e cura, perché nelle loro vite, nelle loro parole, nella sofferenza che hanno subìto, ma anche nella loro realizzazione dovuta alla possibilità di vivere al maschile, ci sono molti elementi che dovrebbero essere di riflessione per noi che questa condizione la viviamo.