Accà nisciun è fess’ e le identità non binarie
Oggi al bar sotto casa, cinese, un ragazzo (che abita a milano) napoletano, insegnava al barista cinese frasi come “accà nisciun’è fess“, o altro.
L’ho visto più volte. Parla sempre del fatto che è napoletano, e fa spettacolo con altri spettatori casuali del bar su come insegna il dialetto napoletano al barista cinese.
Osservandolo guardavo come per lui è importante l’identità di..luogo, soprattutto ora che, magari, è lontano da casa. Altri invece, come me, alla loro “identità di luogo“, neanche ci pensano più di tanto.
Quindi credo che si possa dire che ognuno di noi abbia mille identità (di genere, di provenienza, di professione, di “passione”), ma che alcune di queste assumono per noi maggiore importanza…altre le viviamo con indifferenza.
Una volta, a natale a casa di “uno dei miei fidanzati”, i nonni, milanesi, insistevano sulla mia “sicilianità” e su “come facciamo noi le cose in Sicilia”. Ero basito: io da anni non ci torno e ho sempre considerato la mia nascita in Sicilia come “casuale“. Non credo che la mia “identità di luogo” sia importante o significativa nella mia personalità.
Devo anche dire, che, a parte persone anziane, ormai all’identità di luogo non si fa più neanche caso, nelle grandi città. A volte, in un gruppo di persone che condividono una passione, una condizione, un’ideale, ci dimentichiamo chi proviene da altre città e chi dalla città in cui si riunisce il gruppo.
Per l’identità di genere invece…è ancora la prima cosa che balza all’occhio. In fondo quando siamo in metropolitana e osserviamo, la nostra mente fa una prima divisione in uomini e donne…e solo dopo si pensa al colore della pelle, all’età o altro.
E’ per questo che mentre chi non ha una particolare identificazione con la sua provenienza vive piuttosto sereno, e chi non l’ha col suo sesso di nascita vive infelice e frustrato.
Una volta in un coordinamento di associazioni dovevamo scrivere un comunicato stampa un gay propose “i membri si rechino alla conferenza se interessati“. dopo diverse proposte lesbofemministe si passo’ ai “soci” , poi ai “soci e le socie” e poi alle “socie e i soci“.
Timidamente proposi “le persone interessate” oppure “coloro che hanno interesse“…,ma subito la lesbica mi accuso’ di “volere in modo strisciante annullare l’identità femminile come del resto fanno i patriarchi“. In quel momento pare che fosse molto importante l’organo genitale di chi voleva recarsi a quella cacchio di conferenza. Era importante, quindi, non annullare le vagine ma , possibilmente, annullare tutti coloro che non solo non si identificano in questa insistente dicotomia vagina/pene, o che forse si considerano persone, persone ricche delle loro mille identità (non solo di genere), e che considerano il fatto che c’è più differenza tra individuo e individuo che da maschietti e femminucce.
A dirla tutta a volte siamo noi stessi alienati dalla nostra identità di genere, a causa delle pressioni binarie della società. E’ per questo che, mediamente, quando chiedo “come stai” a una persona trans, inizia un assurdo discorso su ormoni, transizione, perizie, e non si parla mai delle loro passioni, ambizioni, desideri, paure, umanità.
Che altro dire? tutto questo fiume di ragionamenti è nato da un drag-napoletano caricatura di se stesso attaccato alla sua identità di luogo….
Completate voi il fiume di riflessioni dicendo la vostra. A presto.
Identità ed etichetta… Balza all’occhio l’identità relativa a un problema socialmente ancora “non risolto”, e lo stesso dicasi per le etichette, delle quali non vengono accettate o perlomeno criticate quelle relative i problemi socialmente ancora “non risolti”. Gli stessi che criticano etichette e identità sono i medesimi che, più o meno inconsapevolmente, accettano quelle storicamente acquisite. Siamo dunque di fronte ad un conflitto tra conservatorismo e progressismo.
L’identità, buttata dalla finestra, rientra dalla porta.
Non credo all’uomo vecchio o al nuovo, ai giovani di oggi e ai vecchi di ieri.
I giovani credono di portare delle innovazioni, invece non fanno che rievocare, dentro sè, le stesse esperienze delle persone, in genere, di millenni fa.
L’uomo non è cambiato, il cervello è quello di 50 mila anni ad oggi.
Voglio dire che i bisogni territoriali e di identità di gruppo esistono sempre, alla nascita.
Con questo si cercherà di riconoscersi all’interno di un certo territorio dove si abita; nel caso del napoletano il quartiere milanese dove è andato ad abitare.
Colà cercherà altri napoletani per fare gruppo, clan.
Cerca di convertire lo straniero alla sua napoletaneità, non rendendosi conto che il cinese già appartiene al suo gruppo di connazionali.
I movimenti di integrazione sono tutti destinati a fallire, eppure c’è gente che riesce a vedere dei progressi, per quel fine utopico, che potrebbero pure esserci in una certa fase primitiva di convivenza, ma sono destinati a finire con il perfezionarsi e l’infoltirsi dei singoli gruppi etnici.
Creato il gruppo etnico, si crea il quartiere. Gli abitanti originari, cominciano a sentirsi stranieri e, alla fine, vendono il loro appartamento per trasferirsi laddove vi sia ancora un po’ di milanesità.
Ora, all’interno dei movimenti gender, ci sono gli stessi pregiudizi, esclusioni, pretese di esclusività che ci sono fra i cisgender.
Per fare un esempio, nella fabbrica (oltre 1000 persone) dove lavoravo fino a qualche anno fa, a mensa ci si poteva rendere conto come la fabbrica, fosse divisa, di fatto, in elite, gruppi, clan, ecc.
Si poteva notare come, all’interno di uno stesso reparto (es. disegnatori, progettisti, laboratori trasmissioni, laboratori antenne ecc.) le persone si dividevano per riunirsi, su tavolate diverse, solo in ingegneri fra loro, tecnici fra loro, operai fra loro, fino ad arrivare ai trasportatori, alla manutenzione ambientale (uomini e donne delle pulizie) ecc.
All’interno di un gruppo si individuano una o più “pecore nere” da dileggiare, fare del gossip, sparlare, azioni che vanno sotto il nome di mobbing, che possono arrivare all’isolamento do un individuo dal gruppo.
Anche nei gruppi di animali esiste un ordine di “mangiata” con dei dominanti che si avventano sulla preda, fino alla sazietà, per dar poi passo ai secondi, che finiscono le parti meno nobili del pasto, fino ad arrivare ai più deboli che rosicano i resti.
Essendo l’uomo un animale, diciamo evoluto, ma solo perchè porta degli abiti, non può che ripetere gli schemi dei suoi lontani mammiferi predecessori.
A mio avviso, se affrontiamo i problemi di convivenza della società e dell’individuo facendo riferimento ai principi Darwiniani, troviamo rapidamente le giuste spiegazioni.
C ‘è una bella notizia: giovanni ha fatto sua la parola cisgender!
è vero che l’identità di genere è la prima cosa che salta agli occhi e questa centralità rimarrà..l’aspetto esteriore di una persona, la sua corporeità ha la sua importanza…è la prima cosa che noi notiamo negli altri e gli altri in noi e dall’incontro-scontro con lo sguardo non si può prescindere.
Basterebbe riconoscere che le identità sono tante, uomo, donna, etero, gay, trans, cisgender, bisex..
Fa sempre piacere vedere che giovanni avvoca e distilla i miglioro esempi che si possano trovare. Bullismo? Sempre ci sarà, soluzioni? Nessuna, fare la pecora bianca e rinunciare alla propria individualità. Identità che possono trovarsi e comunicare al di là degli arbitrari confini di appartenenza, una volta capito che c’è più di che condividere tra certe persone e certi stranieri, che tra certe persone e certi connazionali (per esempio Giovanni)? Impossibile, utopia, meglio lasciar stare, lasciare che tutto scorra perchè niente può migliorare e forse è giusto per qualcuno che tutto resti così com’è, è più rassicurante.
Nath:
Per l’identità di genere invece…è ancora la prima cosa che balza all’occhio. Infondo quando siamo in metropolitana e osserviamo, la nostra mente fa una prima divisione in uomini e donne…e solo dopo si pensa al colore della pelle, all’età o altro.
Nel mio caso, siccome sono territoriale, bado all’etnia, per prima cosa.
La distanza è un fattore più limitante di quanto si creda. E’ difficile mantenere i contatti con persone che abbiamo conosciuto lontano da dove viviamo, oltretutto è difficile spostarsi, occorre troppo tempo e si finisce per rimanere in casa.
Solo il lavoro può giustificare un viaggio quotidiano, a volte arduo.
Ok, poi ci sono i contatti via Web, assai immateriali ed astratti, come questi.
La società multietnica, che si va costruendo anche in Italia, rende molto divisi, il che favorisce il gruppo ristretto, dominato da certe caratteristiche comuni (il gender è uno).
Non esiste più la società allargata di un tempo, quando ci si sentiva milanesi o catanesi, oggi è sentita come straniera, per via del mescolarsi delle genti.
Al di fuori del gruppo si è percepiti come estranei, v. gli inviti di H.Milk a Milano, ma in quanti vanno se non sono nei paraggi? Milano città è comunque abbastanza vasta per richiamare una moltitudine di persone.
Da qui la necessità di crearsi un’identità di gruppo, ciò vale particolarmente per i trans, che affrontano una vera rivoluzione corporea e mentale.
Loro credono di avere il cervello del sesso opposto, non è così. Hanno soltanto rifiutato il proprio sesso di nascita; da qui un sacco di guai, per tutta la vita. Avranno, in proporzione, maggiori emarginazioni sociali.
Più sei diverso, maggiori le difficoltà per integrarsi. Preparati all’isolamento e al mobbing, se sei fuori dal gruppo.
Attenzione, il “tu” da me usato è impersonale.
Anch’io, quando lavoravo, non mi andava di seguire il codice dell’ufficio, di deferenza verso i capi, di formalità, di monetizzazione del proprio lavoro (tutti tesi a mostrare il proprio lavoro com più importante), la gentilezza ipocrita, l’adulazione, lo scambio di favori, ecc. prima ancora dei rapporti personali improntati a onestà e simpatia.
“Stare fuori” essere diverso dagli altri l’ho pagato con anni di stipendio e promozioni bloccate, in quanto considerato “out” rispetto ai valori del reparto.
Altra cosa importante: respingere qualsiasi battuta, spiritosaggine che ci possa ledere, pensando di far ridere gratis gli altri, basta poco per scendere di qualche gradino nella considerazione del gruppo, nei nostri confronti.
Opporsi immediatamente, farsi rispettare in tutto, anche lì dove la frase possa apparire ingenua.
Sono segnali che contano, solo dopo ci si accorge che si è data un’immagine di noi ben diversa, dall’idea che abbiamo di noi stessi. Sarà poi difficile o impossibile tornare indietro, al punto che conviene cambiare reparto o lavoro.
Sto parlando di vita vissuta, gli idealismi, che tanto ci riempiono il cranio, così rappresentati nelle novelle televisive, o nei romanzi, finiscono tutti nel cestino, nella vita vera di ogni giorno.
Non è questione di scelte, gusti o di opinioni, ma leggi, regole psicologiche, sociali inamovibili, che fanno parte della natura umana. Inutile chiamarsi fuori. Siamo fatti così.
Nath:
ma subito la lesbica mi accuso’ di “volere in modo strisciante annullare l’identità femminile come del resto fanno i patriarchi”.
Per dire le costanti della natura umana… lo stesso schema si può usare in qualsiasi circostanza ben diversa.
Per fare un esempio politico, nei collettivi femministi di oltre 30 anni fa, si poteva incorrere in analoghi fraintendimenti. Si respirava un clima di rivoluzione assai particolare, fatto di liberazione sessuale, affermazione della donna in ogni settore della vita sociale, la rottura col passato familiare, ecc.
Bisognava stare attenti a come si parlava, usare un gergo di gruppo, che fra l’altro dava l’illusione di appartenere ad una elìte, un po’ snob, nonostante la natura comunista o radicale (liberale) del femminismo.
Dieci anni prima vi furono scontri politici assai aspri, per l’affermazione del sindacalismo (il sessantotto e strascichi): l’emancipazione della classe operaia.
Anche qui rischiavi facilmente per essere considerato fascista, se minimamente facevi notare qualche incongruenza.
Voglio dire che nulla c’è di nuovo sotto questo cielo, tutto è già stato pensato, detto e fatto da qualche migliaio di anni ad oggi. Solo rielaborato con dei jeans addosso, al posto di una tunica o una pelle d’orso.
C’è solo la presunzione di essere degli innovatori.
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Ci rinuncio, sei una causa persa, certe idee si ingranano nella mente, il fascista non può metterle in discussione, è così e basta. Seppure il “gruppo” deve rimanere aperto ad opinioni contrarie, per quanto prive di fondamento e rapporti con una realtà allargata, facilmente dismessa in idealismo.
Io credo che tutta questa rigidita di cui parli, marketing, elite, razze, nasca da una paura agorafobica di perdere nella lotta a cielo aperto (aggettivo che si addice anche alle fogne) del capitalismo, si temono opinioni contrarie al reparto, tutto confacente al clima gerarchico e conservatore del poco che le elitè temono di perdere. Dio, Patria, Famiglia, idoli dispensati dalle elite solleticando, tramite i media (unico canale dante una visione distorta del mondo, in ambienti provinciali altrimenti all’oscuro di tutto) gli istinti di cui tu giustamente parli, senso di appartenenza, pisciare il territorio, facendo appello al generale senso di incertezza economica, in cui ci tengono le elite drenando a sè il denaro circolante, al generale senso di paura. Il prossimo passo è il migliore, quello che spesso mi fa pensare “ce lo meritiamo”: la divisione in nuclei che avvocano a sè interessi di parte e di categoria, in presunta concorrenza con interessi di altre categorie, anch’esse spesso in realtà impaurite e svantaggiate. La sensazione che si vuole creare è sempre quella, che sia rimasto poco (in realtà si sa benissimo che non è così ma l’economia di mercato nel suo linguaggio manovrato dice il contrario) e non c’è alternativa alla lotta. L’identitarismo è un gel che soffoca la mente avviluppa i gruppi con una artificiale coesione e li separa tra loro, togliendo efficienza ad un sistema che si potrebbe organizzare diversamente e più efficacemente potrebbe tutelare i proprio interessi, portando a vedere solo pregiudizi ed egoismo miope (quando il vero egoismo sarebbe in realtà l’altruismo lungimirante).
La tua denuncia è giusta, ci si illude e ci si crogiuola nell’appartenere ad un elitè, ma se fosse un tratto evolutivo sarebbe davvero da scartare. Se poi preferisci accettare questo stato di cose, mi chiedo cosa possa aggiungere d interessante qui.
Non significa questo non avere un identità, ma averla integrata nell’individuo, senza dover recitare una parte. L’identita come espressione artistica. 🙂
Nath:
E’ per questo che mentre chi non ha una particolare identificazione con la sua provenienza vive piuttosto sereno, e chi non l’ha col suo sesso di nascita vive infelice e frustrato.
Il primo termine è riferito all’ambiente esterno, al quale ci si può adattare o cambiare, nel secondo caso non si può scappare da se stessi.
Nath:
C ‘è una bella notizia: giovanni ha fatto sua la parola cisgender!
ftm e mtf si capiscono subito, sono in odore di transexsismo; gender (bender) dovrebbe significare “genere” m o f trasgressivi, verso la diversità dal cisgender.
Ora mi sono andato a cercare Queer, termine collettivo, se scritto in maiuscolo, che significa “diverso”, in generale, inglobando gay, lesbiche, transex e intermedi, dal significato più politico, ed è tutto.
Non chiedermi di imparare altre sigle.
Non so se vi rendete conto di quanto sia complicato, per chi non faccia parte del gruppo specifico, capire l’orientamento di queste persone e come trattarle per non offenderle.
Nath:
Oggi nel bar sotto casa, cinese, un ragazzo (che abita a milano) napoletano, insegnava al barista cinese frasi come “accà nisciun’è fess”, o altro.
Questa cosa mi dà molto fastidio, in quanto ritengo presuntuoso insegnare ad un cinese la lingua dialettale napoletana, a sua volta estranea all’ambiente nel quale il cinese vive.
Comprenderei che gli si insegnasse il milanese ma non sarebbe corretto, perchè limitato alla provincia. E’ corretto insegnarli invece l’italiano, che farebbe trovare bene il cinese in qualsiasi parte della nazione.
L’espressione napoletana citata, poi, è particolarmente idiota, perchè di provenienza camorristica, da guappo (spaccone/delinquente), campanilistica/razzista: a Napoli, se vogliamo metterla in termini chiari, di fessi ce ne sono tantissimi, si fanno fessi tra loro e con i turisti, facendo sì che sempre meno visitatori si rechino sul posto, per non rimanere vittime di scippi, stupri, truffe e violenze varie.
E’ per questo che nessuno si sogna di impiantare un’impresa a Napoli e nel sud, sapendo che il giorno dopo si ritrova il camorrista (il dranghetoso, il mafioso) alla porta.
Le assicurazioni chiedono premi altissimi, sapendo che le truffe più fantasiose sono all’ordine del giorno, non solo ma molte ditte di distribuzione alimentare non aprono neanche le filiali perchè i TIR vengono regolarmente attaccati e rubati, con le merci all’interno.
Ecco qua perchè quel critinone napoletano non solo è fesso ma pure scemo.
Sono perfettamente comprensibili tutti i pregiudizi nei confronti degli immigrati, anche interni alla penisola. A fronte di qualche vantaggio per chi cerca personale – essenzialmente imprenditori – per mansioni modeste, c’è un grosso conto sociale che i gli altri cittadini pagano in termini, violenza, delinquenza, insicurezza collettiva, degrado ambientale ed altre schifezze che giustificano il più radicale razzismo.
E’ vero che non tutti i napoletani sono così – e questa è la precisazione richiesta per non essere considerati razzisti – purtroppo, però, è che gli onesti sono troppo pochi per dar fiducia ad un napoletano, se non si fanno le dovute indagini, prima di dargli retta.
Per gli stranieri è anche peggio. La loro diffusione è tale che le città non si riconoscono più. Milano non è diversa dalla periferia del Il Cairo.
Tutte le metropoli mondiali tendono a somigliarsi, divenendo grossi cessi collettivi, affollati di umanità degradata, dove tutti si odiano.
Questo, in essenza, il risultato finale della filosofia della multi-culturalità, tanto propagandata dalle sinistre a dalle chiese.
Diverso è il tuo caso, Nath.
Quando un meridionale si allontana dall’ambiente di origine, ovvero nasce altrove da genitori meridionali, è in tutto e per tutto simile ai concittadini del luogo di immigrazione, perchè non è la nascita che rende “figli di puttana” ma l’ambiente nel quale si vive.
La cultura del sud, simpatica per molti aspetti, è assolutamente arretrata, congenitamente, e immodificabile; altrimenti, nell’arco di 150 di unità d’Italia, sarebbe cambiata, invece, nonostante tutti i fiumi di denaro che vi sono affluiti, non si è sollevarla dalla cronica povertà e sottosviluppo, proprio per il cronico individualismo, raccolto in clan delinquenziali e la tendenza a fregarsi l’uno con l’altro.
Per questo, quando uno afferma: “acca nisciun’è fess” significa che lo sono tutti, dalle sue parti.
Ora io sono romano e so che per un settentrionale non fa differenza con un napoletano e invece c’è, quanto quella fra un milanese e un torinese o un veneto, pur essendo tutti settentrionali.
A Napoli, dopo che la camorra ha praticamente rovianato tutto il tessuto produttivo della città con il pizzo, lo spaccio e soprusi di ogni genere, si è trasferita dapprima a Frosinone, poco più a nord, confinante con la Campania, per poi approdare a Roma.
Nel giro di decenni anche questa regione è stata guastata e si sa di infiltrazioni camorristiche e mafiose anche a nord, e perfino in altre nazioni europee.
Che non ci chiedano mai più di non avere pregiudizi: vogliamo averne quanti ce ne pare, sempre, conditi di razzismo, quanto basta ed anche di più, siamo perfettamente giustificati.
Quando lo stato si deciderà a fare giustizia allora cambieremo idea.
Ora, se la triade criminale (mafia, camorra, ‘ndragheta) si è infiltrata nelle imprese, e nella società di ogni regione italiana, figuriamoci quanti mafiosi si sono installati nelle strutture statali della pubblica amministrazione, nell’esercito, nelle forze dell’ordine, nei servizi ecc.
Lo stato è meridionalizzato fino alle radici, per questo non funziona a non funzionerà mai, perchè dovrebbero essere gli stessi mafiosi che lo comandano a farlo cambiare e questi non se lo sognano nemmeno di rinunciare al parassitismo criminale che porta loro così tanti guadagni.
Può l’avvento di una dittatura cambiare qualcosa?
Ritengo di sì, in ogni caso la democrazia ha fallito su tutti gli scopi che si era proposta, troppo debole e vigliacca.
Prevedo una dittatura islamica in futuro, non è quella che vorrei, ma è fatale che giunga.
Beh in effetti la democrazia ha un po’ fallito, o si migliora oppure comunque non sarebbe per questo meglio una dittatura, meglio una poliarchia libertaria, partecipata e in divenire. Come in divenire è la cultura, anche quella del sud, ridotta così, comunque perchè terra di conquista dei garibaldini, è stata lasciata a sè stessa, (qui non sono sicuro, sono aperto a correzioni storiche), il nuovo stato imperiale della lingua unica italiana Volgare ha trascurato la sua periferia lasciando un vuoto statale riempito dalle mafie, appunto, di conseguenza generalizzazioni razziste sono sbagliate, penso che la disonestà lì sia la stessa che a Milano ma declinata in modi diversi, a milano è più alla Azzeccagarbugli, come efficacemente la affrescava il Manzoni, ma la sostanza è simile, poi a qualcuno potrà sembrare più incivile quella del sud, non saprei. Ma la generalizzazione tollerante di approssimazioni grossolane non può essere scusata e giustificata nel nome del politicamente scorretto, perchè “sarebbe troppo laborioso tenere conto di complessità e distinguo”, no, nessuna scusa. La multiculturalità certamente attechisce di più nelle scuole e dove le realtà differenti sono a contatto, dove c’è meno integralismo e la famiglia d’origine è meno opprimente, lì si forma la cultura della diversità come progresso e ricchezza.
a presto
Antome:
L’identitarismo è un gel che soffoca la mente avviluppa i gruppi con una artificiale coesione e li separa tra loro, togliendo efficienza ad un sistema che si potrebbe organizzare diversamente e più efficacemente potrebbe tutelare i proprio interessi, portando a vedere solo pregiudizi ed egoismo miope (quando il vero egoismo sarebbe in realtà l’altruismo lungimirante).
Particolarmente fine l’assersione fra parentisi, ed io sono d’accordo. Quello che sembra altruismo, in realtà è un egoismo a compenso posticipato nel tempo e nei luoghi, purchè sia stata insegnata la virtù della riconoscenza.
Questo vale, in primo luogo, nella famiglia. I genitori danno apparentemente gratis ogni sostegno perchè sono certi che il figlio li assisterà da vecchi, sempre che la riconoscenza sia posta come prima regola nei rapporti sociali, verso gli altri: persone, animali, piante. Tutto ha un valore.
Il fiore ammirato ma non colto.
Altro esempio nel sacerdozio, tutto basato sul premio finale che il ministro di Dio riceverà nell’aldilà per ogni bene compiuto su questa terra. Il bravo prete non si aspetta dal fedele una ricompensa (che pure arriva puntualmente); egli gioisce nel vedere sollevato il bisognoso dalle sue pene, questa la ricompensa immmediata e poi quella futura in cielo.
Tutta la società si basa su questi valori, tuttavia, nel piccolo e nei rapporti di lavoro, le regole cambiano. Ci si attiene ad un comportamento corretto di rispetto e gentilezza ma poi, sotto sotto, ti fanno le scarpe, sparlano se non ti comporti più che formalmente, anche se in apparenza ti sembra di vivere in un ambiente spregiudicato. Questo perchè vale pure l’altro aspetto umano: quello di atavica animalità, sotto il controllo della coscienza, che non lascia trasparire nulla, ma c’è.
Vale il primo pensiero che ti viene in mente, in una certa circostanza, mai tenera e altruista, subito dopo interviene la censura della nostra morale.
Così il pensiero razzista ed il pregiudizio alberga in ciascuno di noi solo che, quelli come me che cercano sempre la verità, lo spiattellano senza pudore, altri fanno finta di essere diversi, speciali, superiori, e moralizzano, attenendosi al solito clichè del progressista, dell’umanitario, del solidale ecc.
Per il resto non puoi farci nulla: l’uomo è un animale sociale, tende a far clan.
Nel privato potrà anche vivere da single, essere un orso ma, così come è organizzata la società, uscito di casa deve aderire a certi gruppi.
Isolato in casa, nel lavoro inserito in un team, l’azienda stessa o la ditta è un gruppo. Se sei religioso vai in chiesa: è un gruppo; se sei omosessuale entri in una associazione, quasi obbligatorio farlo se la società è ostile.
Entri in internet, twitter e ti crei un profilo, spalmato in più siti; partecipi a forum, blog… sono gruppi.
“Questo perchè vale pure l’altro aspetto umano: quello di atavica animalità, sotto il controllo della coscienza, che non lascia trasparire nulla, ma c’è.
Vale il primo pensiero che ti viene in mente, in una certa circostanza, mai tenera e altruista, subito dopo interviene la censura della nostra morale.
Così il pensiero razzista ed il pregiudizio alberga in ciascuno di noi solo che, quelli come me che cercano sempre la verità, lo spiattellano senza pudore, altri fanno finta di essere diversi, speciali, superiori, e moralizzano, attenendosi al solito clichè del progressista, dell’umanitario, del solidale ecc. ”
Bene il resto, e penso che dovrebbe funzionare così, in questa forma di altruismo egoismo, anche nel lavoro.
però no, ti sbagli, non censuro il mio razzismo, so solo che non ha senso esserlo, so che presuppone l’essere acritici rispetto al proprio gruppo, sociale etnico (o quello che sia), il che è un condizionamento sociale frutto di propaganda. Io non ho preclusioni verso quasi nessun gruppo, in verità, e predico l’apertura del gruppo al resto della società, perchè i problemi di ogni gruppo sono parte di un’equazione più grande, lo stesso per quanto riguarda le varie culture.
Io non penso che i gruppi a tematica gay siano meno sensibili nei confronti di altri problemi, e se lo sono tendo sempre a rimarcarlo, “come? Vi accomuna una sensibilità in quanto gay verso i vostri diritti e la vostra sacrosanta tutela, io sono dalla vostra parte pur essendo etero, e qualcuno di voi è liberista riguardo al lavoro e alla solidarietà sociale o cade nel razzismo?” vuole dire che l’esperienza della discriminazione e del disagio non ha insegnato niente, ad una piccola parte di loro.
Non necessariamente le identità devono declinarsi in maniera conflittuale. Il gruppo, nella ditta, ha senso solo dal punto di vista organizzativo, il resto sono eventuali amicizie-inimicizie legate alla frequentazione maggiore di un determinato ambiente. Il pettegolezzo? Secondo me semplice disperazione da catena di montaggio, assuefazione religiosa alle regole di un determinato sistema, invidia di chi ne è meno schiavo, incapacità di organizzarsi per ricrearsi un lavoro meno alienante. La necessità secondo la militarizzazione capitalista, di mantenere una immagine sicura e controllata, che non faccia secondo loro fuggire i clienti da un concorrente, e la finale schiavitù verso questa immagine laccata e leccata.