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Contronatura o controcultura? la parola a chi non transiziona.

Perché alcune persone transgender non sono interessate al percorso canonico e medicalizzato? E’ una questione di debolezza, come pensano molte persone T in percorso canonico? Hanno senso i discorsi su ciò che è contronatura, o sono solo un retaggio cattolico?

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Ultimamente ho cercato, nei vari gruppi a tematica transgender, persone come me, che non transizionassero tramite un percorso canonico e medicalizzato, e non avessero al momento intenzione di farlo.
Ho trovato in effetti qualcuno, in Italia, poche persone, che, nonostante la propria intenzione di non transizionare, vivessero apertamente il loro genere.

Ci sarebbe tutto un discorso da fare sul perché chi non vuole/può transizionare preferisce vivere da velato, ovvero come se fosse cisgender…ma mi sembra superfluo: tutti sappiamo di vivere in un paese senza una legge contro la transfobia e senza nessuna garanzia sul lavoro.
Detto questo, una cosa che trovo particolarmente odiosa è il “mantra” di molti trangender medicalizzati nel giudicare i transgender non medicalizzati.
state bene col vostro corpo, non avete disforia, siete a vostro agio col corpo!!!”.

A questo punto direi che è bene esporre i motivi, che in realtà sarebbero infiniti, per i quali una persona effettivamente transgender (con identità di genere diversa dal sesso genetico), possa decidere di non transizionare:

motivi etici o religiosi: molte religioni professano l’integrità del corpo, cosi’ come anche molte filosofie. Basti pensare ai testimoni di geova, al veganesimo, o al “non introdurre sostanze intossicanti” del buddhismo
motivi familiari: qualcuno ha un familiare a cui verrebbe un infarto nel vedere modifiche fisiologiche nel figlio o figlia. l’orientamento sessuale puoi ometterlo, l’identità di genere non proprio, ma la transizione direi che…non puoi proprio nasconderla
motivi professionali: che una persona dica o no apertamente della sua identità di genere, un cambio fisico è ben oltre, sia per colleghi e capi, sia per clienti, e non tutti accetterebbero questa cosa. E, senza una legge contro la transfobia, il motivo per mandarti via o mobbizzarti lo trovano
motivi di salute
motivi di insoddisfazione per i limiti fisici della transizione: qui apro la parentesi soprattutto in direzione ftm, visto che è attualmente impossibile ricostruire un pene che sembri un pene esteticamente, che sia erettile e penetrativo, che faccia pipì, che eiaculi, che sia fertile, che sia di dimensioni credibili…quindi un ftm sarebbe sempre condannato a spiegare di sé ai e alle partners. Citando un mio amico che ha finito la transizione… “ma perchè anche per farmi una scopata devo raccontare la storia della mia vita?“.
C’è chi trova soddisfacente placare il disagio con una transizione che avvicini comunque, genitali a parte, alla figura maschile. C’è chi preferisce aspettare miglioramenti tecnologici, c’è chi non si accontenta e vorrebbe essere identico ad un nato xy, ma nell’impossibilità decide di rimanere, per il momento, com’è.

In questi casi, non si tratta di persone “queer” a proprio agio col corpo, ma di persone che scelgono di non fare l’iter medicalizzato, o non farlo adesso.
Qualcuno potrebbe dire “ma chi è veramente disforico non guarda queste sottigliezze, è ai livelli di o lo faccio o domani mi ammazzo“…
E a questo punto concluderei dicendo che evidentemente ci sono vari gradi di disforia, o comunque disforie diverse, non tutte riguardanti i caratteri sessuali secondari.

Finisco citando chi critica chi non fa un iter medicalizzato per via delle scarse possibilità di ricostruzione genitale in direzione ftm: “ma un uomo non è il suo cazzo“. A questa gente rispondo: allora un uomo non è neanche il suo corpo, i suoi peli, il suo petto, il suo pizzetto.
Uomo è chiunque sia di identità di genere maschile. La medicalizzazione è uno strumento per essere più sereni, più a proprio agio, più felici davanti a uno specchio.

Un altro grande errore è accomunare persone di identità di genere dissonante al sesso genetico, ma non in transizione canonica, al grande universo queer e di rottura di ruoli e stereotipi.
Senza nulla togliere alla Carmela che vuole tagliarsi i capelli a spazzola, fare alpinismo, o ad Ugo, appassionatissimo di uncinetto…si tratta di persone cisgender, ammirevoli per la loro “rottura” dei ruoli tradizionali, ma felicissimi del loro nome e della loro identità di genere, anche se coraggiosamente al di là degli stereotipi.

Il malinteso nasce dalle due accezioni diverse della dicotomia transgender/transessuale.
L’accezione classica chiama trans-gender colui che trasiziona di genere, transessuale colui che transiziona anche di sesso.
Per altri invece la divisione è identitaria. Il transessuale ha una collocazione identitaria binaria, il transgender è “al di là dei generi”, quindi un’identità intermedia (è di entrambi i generi, di nessuno, di un terzo, o li rifiuta proprio)…ma in realtà questo più che altro è ciò che si chiama genderqueer.

Mentre i sopracitati Ugo amante di uncinetto e Carmela rapata e amante dell’alpinismo sono “semplici” cisgender al di là dei ruoli (e non delle identità)…quindi possiamo considerarli antibinari, queer, ma non trans.

Ulteriore confusione è creata dall’accezione anglosassone  di transgender, che è un termine ombrello che contiene tutto cio’ che è al di la’ del genere, compresi antibinari, genderbender e crossdresser.

Forse il mondo trans med (che dovrebbe ricordare di star transizionando per il proprio benessere e non per la propria accettabilità sociale, o per il passing, o per la credibilità o per dimostrare qualcosa a qualcuno) teme questi “pionieri” che non modificano il loro corpo ma si espongono sulla propria identità.
E cosi’ come i trans canonici non sono capiti da chi non lo è (esempio: il gay che dice “a me piacciono gli uomini ma non mi verrebbe mai in mente di diventare donna”…e grazie al cacchio, sei gay, non trans!), essi stessi non riescono a concepire che una persona possa decidere di non fare un percorso medicalizzato E essere comunque di identità di genere dissonante al sesso genetico E esporsi socialmente per non vivere una vita di menzogna.

Infine mi rivolgo a chi dice che siamo nè carne nè pesce e contronatura.
Voglio precisare che la natura “produce” individui attratti dallo stesso sesso, individui con predisposizioni identitarie dissonanti rispetto a quelle “previste” per quel sesso genetico…cio’ quindi non è contronatura, ma è natura. Sono casi rari, come chi nasce coi capelli rossi, ma facenti parte della natura.
Persone transgender, omosessuali, bisessuali…sono quindi previste dalla natura, come forse la natura aveva previsto la loro integrazione, cosa che non è poi avvenuta nella società: quindi queste persone possono essere attualmente definite “controcultura.
Se proprio vogliamo parlare di contro”natura”, dovremmo parlare di medicalizzazione. Di certo una terapia ormonale sostitutiva non è “naturale”, non è “prevista” dalla natura biologica di un corpo.
Ma c’è anche da dire che la parola contronatura” è sempre intrisa di un’accezione negativa e giudicatrice che ci arriva dal giusnaturalismo e dal cattolicesimo.
Dimentichiamo che è contronatura anche la trasfusione, il trapianto di midollo, la laser per la miopia.

So che questo articolo farà “incazzare” i transgender medicalizzati, ma la cosa realmente triste è che per me, persona non in transizione canonica, è stato molto più semplice ottenere il rispetto del mio genere il maschile dai cisgender che da loro, impegnati spesso nelle gare a chi piscia più lontano e a chi è più trans….

8 commenti su “Contronatura o controcultura? la parola a chi non transiziona.”

  1. Pensieri sciolti…
    Quasi completamente d’accordo, non fosse che ci sono ancora -persino da parte tua- troppe “scatolette”…
    E chiamo “scatolette” l’abitudine di incasellare le persone in un alcunché, sia esso un genere, la sua sessualità o il suo modo di essere.Nei giorni scorsi leggevo il libro di Mirella Izzo, Oltre le gabbie dei generi,(http://www.pianetaqueer.it/cultura/251-oltre-le-gabbie-dei-generi.html) e mi trovavo d’accordo con lei quando, “quasi per gioco” elenca le possibili coppie che, aldilà dei generi, la fantasia dell’essere umano può comporre. E come lei giustamente scrive: molte altre se ne potrebbero immaginare…

    Perché in fondo il dramma è sempre nell’occhio dell’altro che ci guarda, dal quale vogliamo rispetto e amore. Mi viene in mente la pièce teatrale di Sartre (l’inferno sono gli altri) che è sempre e comunque la nostra difficoltà ad essere serenamente, dalle cose più stupide (ma come, non hai l’Iphone 5???) a quelle essenziali: ma sei un uomo?
    E questo mette in bilico quella vecchia tesi che recitava: per stare bene in mezzo agli altri, bisogna prima stare bene con se stessi. Modificare, secondo necessità, “stare bene” con amare.

    Se sei da solo, nella tua camera, hai un genere? Hai bisogno di sentirti secondo le logiche di un genere? O sei te stesso, te stessa?
    Perché per essere nel mondo hai bisogno di affermarti come Mario anziché come Maria?
    Luisa per amarti deve riconoscerti come Mario?
    E che prezzo paghiamo per rifletterci negli occhi dell’altro secondo un genere?

    Io potrei sognare una bacchetta magica che mi trasformasse in un gabbiano, e potessi quindi librarmi in cielo, ma poi anche in un cavallo libero di correre in una prateria verde, ma anche…
    Ma c’è un limite ad ogni esistenza e, io credo, la maturità sia percorrere la propria via senza giudicare quella degli altri. Uomo donna gay lesbica bisex transgender in transizione o meno, cmq essere.
    Non giudicare rispetto alla scelta di genere, né rispetto al genere, alla scelta sessuale, così come rispetto al colore della pelle o al lavoro o ai soldi. Non infiliamo le persone nelle scatolette della cultura sessista e patriarcale, secondo la morale cattolica o il fondamentalismo islamico o…
    Sarà più facile vivere, per tutt* noi.
    Con simpatia,
    Flaminia P. Mancinelli

  2. Il fatto è che sempre soli nella propria stanza non si può stare (e poi sì anche solo nella mia stanza come fuori io mi sento sempre Paolo, uomo e mi sento me stesso) ed è anche bene che sia così. “L’inferno sono gli altri” io non sono d’accordo del tutto, perchè degli altri, dell’incontro e anche dello scontro degli altri abbiamo bisogno. Con tutto il rispetto per gli eremiti, noi siamo animali sociali anche quando la cosa non ci piace.
    Quanto all’identità di genere, secondo me, non è una gabbia, è una cosa che esiste e che è radicata in noi come lo è l’orientamento sessuale..che si sia cisgender o trans (transizionati o meno), etero, gay, bisex. L’importante è rispettare ogni identità di genere da quelle più”diffuse” a quelle che no.

  3. Ciao flaminia.
    Io dico cose vere, ok, ma non sono giuste in relazione a quanto sono queer o fluide.
    Anzi, in questo post dico proprio il contrario: una persona ha l’identità di genere maschile anche se non transiziona.
    Non sto quindi dicendo che non esistono le identità di genere, che siamo tutti fluidi…sto solo dicendo che non è una siringa che fa un’identità di genere, e che ci sono molte false opinioni su chi non transiziona: li si bolla a “persone che stanno bene col loro corpo” e bon, ma cio’ non toglie che siano persone con un corpo femminile e un’identità di genere maschile, o viceversa.

    Esistono persone fluide, che rifiutano le identità di genere, si percepiscono come a meta’ tra esse, o di entrambe o di nessuna: ma qui si parla di persone di identità nettamente maschile o femminile che pero’ decidono di non modificare i loro corpi.

    Non credo che, come tu affermi, il ruolo sia solo sociale.
    Ai/alle transessuali, prima della transizione, viene chiesto se lo farebbero in un’isola deserta oppure in una societa’ in cui tutti si rivolgerebbero a loro col genere d’elezione (una societa’ totalmente open), e molti di loro dicono “si, lo farei”, perchè uomini (o donne) si percepiscono, e vogliono essere il più simili possibile ai maschi (o alle femmine).

    Non uso parole come etichette o scatolette, ma rivendico l’uso delle definizioni come identità politica e personale.

    Del resto, finchè le persone come me, non in transizione, non hanno un nome, non avranno neanche istanze, o una comunità, nè sono ascoltate.

  4. La sessualità è centrale nella vita ed è giusto occuparsene tanto, soprattutto quando si è giovani. Io non lo sono più da un pezzo e posso anche fregarmene.
    Ero forse soddisfatto in gioventù? Non avevo problemi d’identità ma forse volevo essere… chessò più fico, meno imbranato, ecc., per dire che mai si è soddisfatti di quello che si ha o si è.
    Probabilmente abbiamo ereditato questa instabilità dai nostri avi, come spinta ad un costante miglioramento o costante cambiamento, perchè la staticità è non-vita.
    Un mio collega, nonostante avesse una discreta cultura, era talmente terrorizzato dal dubbio di essere omosessuale (sto parlando di anni ’70) da frequentare coattivamente prostitute, per dare dimostrazione a se stesso della propria mascolinità.
    C’è forse qualcuno che sia contento di se, come natura l’ha fatto? Transizioni a parte, molti ritengono di doversi ritoccare esteticamente, per accettarsi, anche se già molto belli.
    Spesso, anche dopo il trattamento, non sono soddisfatti e continuano con la chirurgia estetica su altre parti del corpo.
    E’, quindi, una condizione esistenziale quella di non accettarsi, che non ha a che vedere col corpo, semmai con la psiche.
    Su questo chi vuole transitare deve interrogarsi.
    Il disagio, dal mio punto di vista, non sta nel proprio corpo ma nel non voler accettare il mondo così com’è, per questo s’invocano leggi contro l’omofobia e il reclamo di “diritti”: il mondo è sbagliato, non noi.
    Una guerra persa fin dall’inizio, ma a molti piace auto-compiangersi forse per sollecitare un soccorso affettivo.
    Se sei nato abete, non puoi diventare quercia o porcellino di terra, ed il fatto che tu ti senta qualcosa di diverso non ti dà il diritto di pretendere che gli altri ti riconoscano come tu vorresti e non come appari o sei, di fatto.
    Gli altri ti tratteranno per quel che vedono di te, ma se scoprono che hai “truccato” oltre a respingerti ti disprezzano o peggio, e non puoi accusarli di omofobia.
    Siamo noi che dobbiamo adattarci al mondo, non viceversa; è sempre stato così.
    Chi si oppone al proprio destino biologico si autodistrugge, tale è il passaggio -irrimediabilmente irreversibile – all’altro sesso con trasformazioni davvero devastanti, mostruose, direi.
    Meglio allora sentirsi altro senza transitare, anche perchè la vita potrebbe presentarci – col tempo – cambiamenti, in noi stessi, che mai avremmo pensato dovessero accaderci: da “innominati” a santi.

  5. Decisamente solo controcultura se di cultura dominante ha ancora senso parlare, non ci si vuole “adattare” al mondo perchè si è parte del mondo. Poi vabbè come al solito qualcuno continuerà con le sue menate per giustificare la sua limitatezza mentale.

  6. Ciao 🙂 ho scoperto da poco il tuo blog e lo trovo davvero interessantissimo e illumminante!
    volevo solo puntualizzare una cosa: il veganesimo (che non è un orientamento religioso ma una scelta di vita basata su principi etici) a priori non impedirebbe di transizionare, sebbene tra i vegani ci siano anche persone che rifiutano di fare uso di qualsiasi farmaco, più che altro per convinzioni salutiste che però sono scorrelate dalle motivazioni di fondo della scelta vegan. scusami per la pignoleria 😀

  7. “Il veganismo è un movimento filosofico basato su uno stile di vita fondato sul rifiuto – nei limiti del possibile e praticabile – di ogni forma di sfruttamento degli animali (per alimentazione, abbigliamento, spettacolo e ogni altro scopo.
    Il termine è un’italianizzazione della lingua inglese veganism, derivante da vegan, neologismo ideato nel 1944 da Donald Watson.
    …………..
    Il vegetalismo può avere all’origine motivazioni etiche (se tale pratica alimentare viene adottata all’interno del veganismo), ma può anche essere dettata da ragioni di altra natura (quando tale pratica alimentare fa parte di una più ampia concezione di vita salutistica, ecologistica o religiosa).”
    https://it.wikipedia.org/wiki/Veganismo
    Più sotto, wikipedia afferma che il veganismo è antispecista, quindi, per scelta, orientato alla più ampia visione della vita, contrariamente ad es. al pensiero religioso in genere, che vede la specie umana coronamento della creazione divina. Da qui possono originare le guerre religiose, perchè ciascuna di esse pretende di conoscere la sola verità.
    Le religioni, il pensiero religioso, è fondamentalmente violento, perchè ha sempre qualcosa che deve essere aggiustato nell’uomo, nel mondo e nell’universo, non si pongono limiti. Pretende, inoltre, di indirizzarti verso una “salvezza”.
    Esso è prodotto dalla mente umana (per avere seguito i profeti affermarono di aver parlato con Dio), risultato di un’evoluzione basata sulla sopravvivenza del più forte. Se vivi è perchè sei completamente immerso in questo destino e, qualora volessi uscirne, non avresti figliolanza capace di sopravvivere con principi diversi.
    Deduco che il veganismo, nella sua concezione del mondo, accetta i genderqueer. I pastafariani stanno tranquillamente dentro il veganismo.
    Più contenuti sono i limiti di un movimento filosofico, più facile è condividerlo.
    Similmente, la coppia funziona tanto meglio quante meno cose si mettono in comune.

    Ho già dato una risposta sopra, col nome “Giovanni”, che ribadisco.
    Rileggendo, tuttavia, l’articolo di Nathanael, mi sono chiesto: quale potrebbe essere, nel tempo, la risposta collettiva a regime, quando tutti i diritti saranno acquisiti e messa a massa l’omofobia?
    L’indifferenza, ovvero la cecità selettiva, l’isolamento.
    Vedi solo ciò che vuoi vedere, il resto l’occhio e il cervello ad esso collegato lo eliminerà automaticamente e inconsapevolmente, come quando leggi un libro ma non ti accorgi della stanza, che pure esiste, ma non vedi.
    All’altro estremo ci sono le pulizie etniche, gli infanticidi, le sterilizzazioni di massa (v. Cina in Tibet) i pogrom, le “soluzioni finali”, il raso al suolo e salinazione (Cartagine).
    Se sei un razzista in USA, come fai a sopportare i negri e le cento altre etnie che hai intorno, la città che non vorresti vedere, ecc.?
    Con cecità selettiva, automatismo visivo, fatta costume.
    Così si spiega la totale indifferenza, negli USA, dove la razza è insoluta da 500 anni, per la gente che passa, nei confronti del corpo di un tizio sdraiato sul marciapiedi. I passanti non si chiedono neanche se è vivo o morto, ci sono i deputati a farlo, quando li chiamano.
    Del resto Dante lo suggerisce nella Commedia: Virgilio gli dice, nel Canto III dell’inferno: “Non ragioniam di lor, ma guarda e passa”. Riferito ai “vili” (“ignavi” per la critica) cioè “coloro che visser sanza ‘nfamia e sanza lodo”
    Freud la definisce “rimozione”. E’ un omicidio metafisico. Non deve sparire; l’oblio, d’altra parte, è impossibile, basta che non produca più alcuna emozione.

    O cambi nazione oppure adotti la cecità selettiva e molti si meraviglieranno perfino della tua tolleranza (bestemmia!) della tua grande comprensione del mondo. Così, il più antisociale, l’eremita, l’asceta, l’anacoreta, che parla con Dio e porta le stimmate… sicuramente un pazzo, lo faranno santo.
    Gli altri potranno non servirci a nulla, ma devono esistere.

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