Non binary e non med: un separatismo culturale per definirci senza un “non”
Questo blog, in questi quasi dieci anni, ha cercato di dare una casa alle persone non cisgender che però non si sentono rappresentate nè dalla narrativa transessuale, nè da quella queer, nè da quella cisgender.
Si tratta di persone portatrici di una tematica di genere, ma il cui modo di vivere la tematica è diverso sia da quello tipico delle persone transessuali (essere nati nel corpo sbagliato e/o identificarsi nettamente in un genere e/o desiderare una medicalizzazione e/o avere una disforia fisica col corpo), nè dagli attivisti queer (che hanno un approccio prevalentemente politico e sociale al genere, in continuità con i femminismi non binari e intersezionali, ma che spesso non hanno una personale disforia e urgenti istanze per migliorare la vita della propria persona, oltre ad abbracciare anche una serie di altre battaglie politiche appartenenti a una certa visione politico-economica, e in un certo senso anche uno stile di vita).
La letteratura transessuale e quella queer non riescono a descrivere questa fetta identitaria di persone gender variant, e coniano termini inadatti e inesatti.
Vi sono termini, per lo più associati ai/alle gender variant xy, che strizzano l’occhio, erroneamente, al mondo del feticismo e del bdsm, e che hanno un approccio più che altro sessuale o estetico. Termini come crossdresser, sissy, trav, indicano sicuramente una persona non medicalizzata che, nel privato o in ambienti protetti, veste abiti femminili, e la tematica di genere finisce nello sfondo, si immagina che essa non sia neanche presente in queste persone, che in realtà sono semplicemente descritte dai termini sbagliati.
Spesso si tratta di persone xy con una tematica di genere (femminile binario ma non solo), magari senza il desiderio di medicalizzazione, ma che nei panni femminili non ci finiscono per motivi di feticismo, di sadomasochismo o di esibizionismo.
Spesso però queste persone, che non sempre sono “velate”, anche se il binarismo sociale spesso le costringe ad esserlo al di fuori degli ambienti protetti, vengono marginalizzate dalle persone trans canoniche, racchiuse nelle parole “trav” e “crossdresser”, per sottolineare la loro non appartenza al mondo trans e non legittimità a definirsi tali.
Un altro universo marginalizzato, stavolta relativo alla realtà gender variant xx, è quello descritto erroneamente da parole nate in ambito queer, gender studies e femminismi vari: queste persone vengono descritte come gender queer, gender fluid, gender bender, gender rebel, etc etc e la loro varianza di genere, associata al desiderio di non medicalizzarsi e/o alla non identificazione completa con uno dei due generi, viene ricondotta forzatamente alla mera tematica relativa ai ruoli sociali, al loro accesso alla persona xx, alla lotta contro gli stereotipi, contro il sessismo ed il machismo.
Se alla persona gender variant non medicalizzata e non binaria “xy” viene attribuito un approccio meramente estetico e sessuale, alla persona xx viene attribuito un approccio legato al sociale e al ruolo.
Di fatto, gli altri, i cattedratici, gli psichiatri, e gli attivisti canonici LGBT, “decidono” che se non vuoi medicalizzarti e sei xy, la tua è una sperimentazione estetica e sessuale (in quanto tu nato maschio e quindi avvezzo al sesso più del nato femmina), se invece sei xx sicuramente non vuoi medicalizzarti perchè fondamentalmente non hai una tematica di identità di genere ma di ruolo, e quindi sotto sotto sei una donna oppressa dal machismo che puo’ collaborare alla grande lotta femminista sottoforma di queerqualcosa.
Poi c’è tutto il mondo “performante”, vicino al mondo gay e lesbico, dove chi di loro vuole sperimentare il genere lo fa spesso tramite forme artistiche, come l’esperienza drag queen e drag king, che da un lato rappresenta un buono sfogo e nascondiglio per persone che vivono da omosessuali cisgender ma fondamentalmente sono gender variant, di contro permette di sdrammatizzare ed esorcizzare nell’ambito “pulito” e “rispettabile” della performance artistica.
Necessaria è a questo punto una premessa: esistono persone realmente crossdresser, trav, queer, gender rebel, drag king e queen. E’ errato solo attribuire questi termini a chi ha una tematica di identità di genere.
I transessuali di oggi (non uso questo termine per indicare i transgender medicalizzati, ma per indicare quelle persone in transizione che non hanno rivedicazioni politiche transgender) hanno dimenticato il potere evocativo dell’esperienza politica transgender, e marginalizzano i non medicalizzati e coloro che hanno un genere non binario definendoli tramite questi nomi non appropriati, e che ammiccano a vari ambiti, ma non a quello dei diritti.
Spesso non solo non interessa loro portare avanti le battaglie di non medicalizzati e non binari, ma addirittura sono fortemente contrari, nella paura che i diritti per queste persone possano toglierli a loro, e l’esistenza stessa di queste persone possa fare perdere loro credibilità.
Sebbene per una persona non binary sia interessante insistere per rivendicare per se stessa il termine “transgender”, insistendo che esso non sia fatto coincidere con “transessuale”, per queste persone sarebbe importante un sano (e momentaneo) separatismo di elaborazione politica e culturale.
Le realtà T che non sono conformi alla T canonica sono orfane persino di un nome che le definisca senza che vi sia un “non”, e quindi che sia sottolineato il fatto che esse sono solo una costola di un movimento molto più grande, visibile, e con istanze definite.
Non medicalizzati, non binari…non c’è un nome che dia dignità a questa comunità.
Inoltre ad essere visibili sono davvero in pochi, e finché non vi sarà un nome che permetta a queste persone di identificarsi, si sentiranno sempre una timida costola della transessualità, in cui si chiederà sempre scusa per l’essere meno visibili (ma anche impossibilitati a dichiararsi senza derisioni ed incomprensioni), di non avere il “coraggio” di essere transessuali (quando in realtà si è semplicemente “altro“), di avere una disforia prevalentemente sociale e non fisica (viene sempre detto timidamente “io, diversamente da te, in una società non binaria starei da dio e non avrei disforie”).
Come ci si può dichiarare al lavoro, in famiglia, e in tutti gli altri ambiti se prima non si ha un nome? se si devono usare termini di ripiego “perchè così è più facile far capire”?.
Perchè quei pochi nomi che esistono sono in lingue straniere e non descrivono correttamente ciò che siamo? Perchè non siamo in grado di crearne noi?
Forse le nostre energie sono spesso “sprecate” in battaglie che hanno già molti militanti, e non siamo capaci di fare “separatismo” per definire la nostra subcultura, le nostre istanze, i nostri bisogni, per dare dignità alla nostra disforia anche se è diversa da quella delle persone transessuali, per far capire che il misgendering (ignorare il nostro genere ed attribuirci il genere grammaticale coerente col sesso di nascita) è grave anche se fatto su di noi. Forse siamo troppo deboli perchè qualcuno ha fatto passare l’idea che meritiamo il genere corretto solo se “passiamo“, e invece a noi i nostri corpi piacciono androgini, e non abbiamo intenzione di cambiare look o fisiologia per “meritare” il rispetto del nostro genere.
Forse abbiamo impiegato molto tempo a battaglie comuni e trasversali e poco a definire le nostre istanze: a far si che abbiano spazio le nostre istanze:
– l’istanza per cui anche noi desideriamo il supporto psicologico tramite la mutua, anche se non inizierà nessun percorso endocrinologico
– l’istanza che prevede che, se arrivasse sul tavolo una legge contro la transfobia, possa ricorrere ad essa anche chi non ha una “patente” di trans, e che sia una legge contro ogni violenza alla libertà di genere e non solo di “rispetto delle persone trans canoniche”
– l’istanza che permetta di avere il cambio anagrafico senza nessuna costrizione alla medicalizzazione
– l’istanza che preveda informazione sulla nostra specifica condizione sui posti di lavoro, nelle scuole, e in ambienti sanitari, per permetterci un accesso che non sia umiliante, vessatorio, e che cancelli le nostre identià.
Non escludo che si possa e si voglia fare attivismo anche in altre battaglie di più ampio respiro, contro il binarismo, per i diritti omo/bisessuali, ma se la persona dimentica la sua precisa istanza, nessuno la porterà avanti per lei.
Del resto anche Primo Levi diceva: “Se non sono io per me, chi sarà per me?”
una donna transgender e un uomo transgender anche se non si operano chirurgicamente saranno giustamente tali in qualsiasi società e comunque anche senza chirurgia modificheranno, come è loro diritto, il loro aspetto esteriore verso il genere d’elezione
lo cancello, è un commento un po’ fuoritema
Quella della definizione di chi siamo è un tema a me molto caro, su cui sto riflettendo e informandomi da vari mesi. L’idea che personalmente non sia definibile mi piace, io sono la mia unicità, io vivo per il piacere di essere ciò che sono, e sono la bellezza insita nell’essere femminile. Ma poi sento il bisogno di un impegno civico, l’italia in questo senso è un paese del decimo mondo. E quando devo raccontare la mia storia a chi mi si avvicina ho bisogno di definirmi, e di un definirmi anche “semplice”, poi raccontandomi andare sullo specifico della mia unicità. Sono stanca di girare alla luce del sole in svariate città d’Italia ed essere sempre l’unica non conforme. Certo il mio ego si nutre del fatto che sono cool, che sono unica nei dintorni da me frequentati, gli occhi puntati al mio passaggio li digerisco facendomi il film che mi si guarda perchè sono una diva famosa…ma il senso civico mi fa pensare che ci sono tantissime persone che vorrebbero esprimere la loro individualità alla luce del sole, ma ci si ferma difronte alla “disforia sociale” – definizione bellissima nella sua verità , così come sono moltissimi i partner che noi, a-normati, potremmo avere ma che pure questi soffrono di disforia sociale, impedendo di fatto la libertà di esprimere il propio affetto a chicchessia alla luce del sole. E’ solo un anno che esco nel quotidiano, sono solo 3 mesi che ho raccontato a tutti la mia euforia transgeder, e nel mio piccolissimo faccio tutto ciò che mi è possibile fare – compreso vivere transgender il mio ruolo di artista -, per, semplicemente, manifestarmi al mondo normato, nessuna rivendicazione, nessun orgoglio, nessuna protesta: un puro e semplice, ma costante, atto di apparizione.
sono omofobia e transfobia a essere normative
Ho letto due volte l’articolo, in tempi diversi, e vorrei dare la mia impressione senza rischiare di andare fuori tema, come al solito, ma Nathanael è paziente con me.
“Spesso non solo non interessa loro portare avanti le battaglie di non medicalizzati e non binari, ma addirittura sono fortemente contrari, nella paura che i diritti per queste persone possano toglierli a loro, e l’esistenza stessa di queste persone possa fare perdere loro credibilità.”
Ho già detto, più di un volta, che mi sembra saggio e legittimo non introdurre cambiamenti nel proprio corpo, specie con la medicina o la chirurgia – quando non lo si voglia – solo per far capire agli altri a quale genere esatto si appartenga, con tutte le conseguenze negative per se stessi. Dovrebbe essere sufficiente dichiararsi o introdurre solo pochi segnali rimovibili, in modo che gli altri possano capire chi siamo, senza altre azioni da parte nostra.
Per l’affermazione che ho messo fra virgolette, credo che, ragionevolmente, non si possa scendere a questo grado di differenziazione nelle discriminazioni; ormai le “provvidenze” sono per tutti, avendo il mondo legale accettato tutte le diversità, o siamo su questa strada.
Sta al singolo decidere chi è e dirlo alla cerchia di persone che frequenta, in modo che questa possa riconoscerlo come lui desidera.
Ma l’incertezza è tale per chiunque, non sappiamo noi stessi chi siamo e spesso ci sentiamo di dover cambiare.
Spesso la legislazione è più avanti della massa degli individui e occorre attendere che i cambiamenti nel modo di percepire il prossimo avvengano per tutti.
Le nuove generazioni sono pronte perchè, può sembrare un particolare futile, ma negli spettacoli per bambini, non ci sono più fumetti classici. I personaggi non hanno più nulla di umano; si comportano come uomini o bambini ma il loro aspetto e comportamento è quanto di più suggestivo la creatività degli autori suggerisca.
Sostanzialmente il bimbo è pronto ad accettare qualsiasi essere animato e pensante, in più, si aggiunga, che l’educazione agli asili e alle elementari è oggi impostata al riconoscimento di tutti i generi, rafforzata da esercitazioni pratiche.