Quando non avevo creato ancora le mie oasi antibinarie virtuali e non, anche io dovevo barcamenarmi tra due mondi apparentemente (e volutamente) ermetici e incomunicabili.
Il mondo delle travestite, fiere di non avere un PROBLEMA di disforia, un PROBLEMA di omosessualità (cito testualmente), di travestirsi per gioco, per sfida, ma giammai per un PROBLEMA,
e il mondo dei/delle transessuali, fieri di avere la disforia, di averne così tanta da aver fatto il percorso medicolegale, mentre gli altri, “finti transgender“, sono rimasti in bilico, senza mai essere risolti.
Cosi’ io ero sempre a metà in queste gare a chi piscia più o meno lontano, dove avere o non avere la disforia (vista sempre e solo in un modo, e in una gradualità sempre e solo lineare, quando invece chi ha più disforia col nome, chi col corpo, chi con altro…) era la discriminante per essere al vertice di una piramide di valore.
Io di contro mi sentivo offeso da entrambe le parti.
Mi faceva ribrezzo la travestita che si sentiva in qualche modo “fiera” della sua capacità di fare on/off, del suo “controllo” verso la sua vita al femminile, di non essere finita nella “baraonda” disforica della persona trans che soffre se il suo genere (che ha comunicato alle persone) non viene rispettato da chi sa (e continua a rivolgersi col genere legato al sesso di nascita) o dagli estranei (se non “passa“), dato che è chiaro che se fai coming out, e ti abitui al fatto che il tuo genere è una realtà sociale condivisa, poi quando non viene rispettato provi comunque una “disforia sociale“, che chiaramente la persona travestita invece non prova (non ha esperito il genere nella sua real life).
Mi faceva ribrezzo anche la persona transessuale (mtf ed ftm), che doveva “decidere” che tu fossi meno disforico, o non disforico, che tu “amassi” il tuo corpo, per giustificare a se stesso il tuo non fare la transizione medicalizzata.
Quindi decideva anche se era giusto o meno il rispetto per il tuo genere, se tu eri veramente “trans” come lui/lei, etc etc.
Gli esponenti di entrambe le “fazioni” mi sembravano alla ricerca di un controllo su se stessi (e quindi anche sugli altri, che potevano rappresentare, con le loro scelte, una minaccia) a causa della loro insicurezza e poca risoluzione di se stessi.
Alla luce di questo, anche se ormai sono uscito da tutti gli ambienti, virtuali e non, di persone binariamente travestite o trans, ogni volta che il mio sguardo visualizza un trans che prende le distanze dai trav, un trav che prende le distanze dai trav, provo rabbia ma anche pena per queste persone irrisolte che stanno cercando di allontanare da se stessi una realtà che magari non appartiene loro, ma di cui sentono irrazionalmente il bisogno di prendere le distanze per la loro incapacità e non volontà di comprendere ed accogliere.
banalmente il problema è che ognuno di noi ha difficoltà ad accettare i modi di essere altrui specie quando differiscono dai nostri, quando non li disprezza deve considerarli “più sinceri”, “meno sinceri”, “più liberi” o “meno liberi” dei suoi
A trent’anni si può dire conclusa la definizione della nostra identità?
Non mi riferisco a quella sessuale ma in generale, la nostra personalità ha assunto una sua stabilità di fondo, premettendo che si continua a maturare lungo tutto il corso della vita?
In generale ritengo di no, anche se alcune persone, che sanno il fatto loro, l’hanno sempre saputo, magari, sono sicure di se e marciano dritte verso i loro scopi carrieristici, culturali, religiosi o d’altro.
Io posso solo fare riferimento a me stesso, a ciò che ho vissuto.
No, a trent’anni (1978) ero assai insicuro, timido, incerto sulla direzione da dare alla mia vita.
Spesse volte occorre proprio passare degli anni per capire, prima non si può, sperando di essere ancora in tempo per fare delle scelte.
A maggio le fragole, a giugno le ciliege, altrimenti ingurgiti ormoni vegetali gonfiati a forma di.
Nel 1980, dopo un’improvvisa angoscia, durata due mesi, con vistose manifestazioni psicosomatiche (ulcera, tachicardia ecc.) decisi che, fino a quel momento, avevo sbagliato tutto, standomene per conto mio, senza frequentare persone, dedicandomi agli hobby tecnologici preferiti, che mi tenevano in casa, alle mie letture, alla TV, alla musica più gradita, registrata da una radiolina, ascoltando commedie serali su RAI tre… decisi “di mettere la testa a posto” trovarmi una fidanzata e poi sposarmi.
L’idea m’era venuta lentamente, dopo diverse letture freudiane, mesi prima, che condannavano i masturbatori e gli isolati, che tentavano di sfuggire al programma che la natura aveva preparato per loro.
Ci sono dei “clock” che scadono cadenzati dall’età, causando terremoti dentro di noi, se non ti fai trovare lì, nel momento richiesto.
Improvvisamente mi sentii del tutto inadeguato, nel marzo dell’80, con sensi di colpa per il tempo perduto.
Per farla breve, dopo una prima esperienza disastrosa di ricerca partner femminile, mi associa ad un gruppo di insegnanti, presentatomi da mia sorella, nel quale trascorsi circa due anni, senza concludere niente, perchè preso come uno che “doveva imparare” e con questa etichetta le amiche non mi si filavano.
Resomi conto che stavo perdendo tempo, lasciai quegli amici ed affrontai una psicoterapia di gruppo con coetanei, aventi problemi di depressione, relativamente a problematiche di coppia, anche fra sposati.
Dopo quattro mesi riuscii ad avere una relazione durata un anno, con una donna sposata, separata, con due bambine.
Questa esperienza mi mise di fronte una famiglia vera, con tutte le sue problematiche, senza essere sposato.
Mi resi conto che non ero adatto al matrimonio e chiusi la relazione con fatica, perchè lei non ne voleva sapere di lasciarmi.
Recitavo infatti la parte di marito paziente, affettuoso e di padre attento, ma proprio per questo era così faticosa.
Giunsi ad una spersonalizzazione, che mi costringeva a comportamenti che mai avrei seguito se fossi stato solo.
Insomma, quella compagna s’era impossessata della mia vita e la stava conducendo come era giusto che fosse per una che aveva due figlie.
Di nuovo terapia di gruppo, per circa due anni, per capire se effettivamente dovevo abbandonare l’idea di convivere con una partner.
Esito, dopo aver udito decine di storie coniugali finite male dalle partecipanti al gruppo (80% donne)… vivere da single.
Stavolta non c’era più angoscia, perchè avevo trovato la mia strada.
Da allora, (autunno ’85) ho vissuto felicemente da solo, senza ripensamenti, anche quando mi sono capitate donne che spontaneamente volevano far coppia con me, colleghe separate.
Ma io sapevo che si sarebbe ripetuta la stessa storia della prima compagna, per questo dissi di no, subito.
Per tornare al tema di Nat, finchè esiste disforia, non si hanno le idee chiare su di se.
I gruppi terapeutici, su base scientifica sono utili, come è stato nel mio caso; quelli religiosi ti portano a fondo, nel buco della spersonalizzazione, il maestro o il sacerdote mette a massa il cervello dell’adepto, dandogli una nuova identità, che non sarà mai quella che il disgraziato cercava ma, intontito dalla fede e dalle preghiere, non se ne renderà conto. Cervelli all’ammasso, proprio come nelle dittature.
Di quando in quando potrebbe aver dubbi ma l’orrore del solo ipotizzare di aver sbagliato tutto e buttato anni di vita dietro idee folli – come quelle religiose – lo farà rientrare nel buco.
E’ proprio questo che può succedere a Nat, l’improvviso ripensamento in una sorta di “insight”, quando meno se lo aspetta, in occasione di uno di quei “clock” che il nostro programma biologico fa scadere, inesorabile.
Lui crede che la partita sia chiusa ma la biologia è quanto di più concreto abbiamo; tutto il resto è immaginazione e suggestione.
Gli esercizi di bioenergetica e di training autogeno hanno proprio questo fine: rimetterci in contatto con il nostro corpo, la materia, senza la quale il cervello (la mente) rimane appeso.
Per me il corpo l’ha sempre vinta sulla mente, la spiritualità, il trascendente, fonti di alienazione, di follia.
Quando si va in coma, il corpo può vivere per anni, la mente è ormai andata per sempre, con tutto il suo contenuto.
Il corpo può vivere senza mente, la mente senza il corpo no.
Si parte dal vuoto mentale, se si riesce a raggiungere, si toglie al cervello, ai pensieri in esso contenuti, la capacità di generare disforie, ansie, squilibri, angosce ecc.
E’ il ritrovare le proprie cellule, la funzione degli organi, non più disturbati dalle tempeste psicosomatiche generate dalla psiche, snaturata dalle ideologie, dalle fedi, dai credi, che l’hanno dilaniata.
Basta farlo poche volte e l’autoipnosi si raggiunge poi in pochi secondi.
Cosa mettere nel cervello dopo l’equilibrio raggiunto?
Il suo programma originale, quello acquisito dall’umanità in milioni di anni.
E’ come ricaricare dal dischetto il programma dopo il crack.
Se nasci pecora non puoi morire cavallo.
Se c’è disforia significa che stai fuori, devi ritrovare la strada, anche se non ti piace riconoscere quello che sei veramente.
Ridimensionare i propri obiettivi, rientrare dai sogni.
Occorre molto coraggio ma, in compenso, si può riprendere a vivere calcando la propria strada, non più girando in tondo.