“Alcune presunte associazioni di servizi per LGBT non hanno strumenti culturali per accogliere persone B e T perché esse sono disinteressate a frequentarle”

OPPURE

“Le persone T e B non frequentano alcune presunte associazioni di servizi per LGBT perché esse non hanno gli strumenti culturali per accoglierle in modo adeguato” ?

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Ogni tanto mi scrivono persone lontane da Milano e dal Milk.
Sono persone che si sono appena scoperte, ancora totalmente velate, che vorrebbero “vivere” se stesse, tanto per cominciare, in ambiente protetto, quindi in associazioni che diano servizi a persone LGBT e friendly.

Ormai quasi tutte le associazioni, nate come associazioni Gay o Gaylesbiche, sono divenute, da statuto, LGBT.
Purtroppo i feedback mi dicono che queste associazioni sono del tutto impreparate ad accogliere persone transessuali, transgender, e bisessuali (a volte anche ad accogliere donne in generale), e ad essere precisi, anche persone etero LGBTfriendly (soprattutto ragazzi, quindi non ravvisabili allo stereotipo della frociara).

Non potendo andare in trasferta, ho mandato un amico Ftm non medicalizzato a tenere un incontro esperienziale, ma persino nel metterlo in contatto con lo staff dell’associazione ospitante ho dovuto sudare affinché si rivolgessero a lui al maschile (a me si rivolgono al maschile unicamente in quanto presidente e protetto dall’aura presidenziale, e non perché si siano evoluti sul discorso definizioni).

Ad ogni modo, anche dalla Capitale arrivano feedback simili sulla cattiva accoglienza non tanto verso i transgender non medicalizzati, ma a volte anche verso casi classici di transessualismo (percorso classico, transessuale etero, “nato nel corpo sbagliato“). Ignoranza riguardo alla differenza tra orientamento sessuale e identità di genere (T nel calderone degli orientamenti), ignoranza riguardo all’orientamento del partner della persona trans (direi anche invadenza oltre che ignoranza), ignoranza sul come coniugare genere grammaticale ed orientamento sessuale alle persone ftm ed mtf, confusione tra il ruolo e l’identità di genere, confusione tra transessuale e transgender, ignoranza totale sulla transizione, e sulle leggi a riguardo.

Sul discorso trans, la scusa principale è l’assenza di persone trans e quindi l’incapacità o presunta impossibilità di formarsi a riguardo.
Peccato che queste associazioni da statuto prevedano l’acronimo comprensivo della T. Quindi la domanda sulla formazione e sulle relative difficoltà dovevano farsela ben prima.

Per quanto riguarda invece i bisessuali, non è che ci sia chissà quale formazione da fare. Semplicemente basterebbe non fare smorfie e battute sull’inesistenza della bisessualità, i paragoni con gli sposati pruriginosi e velati, allusioni alla bigamia, all’indecisione, alla promiscuità e alla confusione.

E, forse, sarebbe anche il caso di non “sospettare” sempre e comunque che un etero che si avvicina all’attivismo LGBT sia sempre e solo un velato.
E non scadiamo nella convinzione che molti bisessuali, anche “risolti e dichiarati”, stiano bene senza le associazioni, perché di interessati all’associazionismo, e di quelli che si sono trovati male, ce ne sono davvero tanti e tante.

In uno di questi gruppi Facebook ad una lesbica veniva chiesto come mai era nata Arcilesbica e perché non facesse attivismo all’interno di Arcigay, che , da sigla, è, adesso, LGBT. La lesbica indignata spiegava che con la storia di questa sigla, Arcigay ha la precedenza sui progetti riguardanti le donne e il lesbismo, ma che poi non ha gli strumenti culturali per accogliere le lesbiche, farle sentire “a casa(non mi interessa prendere una posizione in merito, perché non conosco a sufficienza l’operato di Arcigay ed Arcilesbica, la loro storia, e non penso che questa persona stesse parlando a nome di qualcun altro, se non di sè stessa).

A volte mi chiedo se effettivamente le associazioni che lamentano l’assenza di lesbiche, trans, e bi, abbiano una qualsivoglia ragione.
A volte il problema è territoriale (magari a Domodossola non ci sono tante persone trans interessate all’associazionismo), ma è anche vero che un’associazione fondata da persone gay, con soli gay nel direttivo, e che magari fa anche qualche iniziativa sul mondo trans, con persone gay che parlano di trans, non è considerata “accogliente” dal trans, che si sente un ospite col “permesso di soggiorno”.

Per questo attualmente le uniche associazioni miste che funzionano sono miste (ma realmente miste, con B, T, etero e compagnia bella) per quanto riguarda le persone che rivestono le cariche dirigenziali.

Forse ci sono associazioni che è meglio che rimangano solo per omosessuali. Ma a questo punto lo siano per davvero. Anche da statuto.
Forse è giusto che ci siano associazioni miste e associazioni specifiche, ma che tutto ciò avvenga con trasparenza e onestà intellettuale.