Perché sono molto di più le attiviste lesbiche che gli attivisti gay a “dimenticare” la causa trans (come anche la causa sieropositività tra l’altro)?
Perché sono proprio gli appartamenti a identità più sconosciute e su cui ci sono più pregiudizi (trans, bisessuali) a “non volersi definire”? Proprio loro che potrebbero valorizzare la loro causa con la loro visibilità e presa di posizione…
Perché si dice che la “femminilità” sia innata e che la donna sia “femminile per piacere a se stessa“, ma poi quando una donna non lo è si pensa subito che sia lesbica (quindi che non abbia bisogno di piacere all’uomo)?
Perché, appurato che il binarismo nasce dall’omofobia (la donna e l’uomo devono essere il più possibile differenziati, anche nell’estetica, per non toccare il tabù dell’omosessualità e dell’attrazione per il simile) ma molti attivisti della causa gaylesbica si definiscono fieramente binari odiando le nostre “perdite di tempo” antibinarie?
Avrei una risposta per ognuno di questi quesiti…ma preferisco ascoltare le vostre risposte…
Sul terzo quesito, direi che la femminilità come la mascolinità, sia etero che omo, che bisex, ha tanti volti, tanti modi di esprimersi (come ce liha il transgender).alcuni forse più diffusi ma tutti legittimi, quindi chi senza conoscere una ragazza la etichetta come “lesbica” è ignorante punto..anche se avesse degli atteggiamenti esteriori ritenuti tipici delle lesbiche (che poi quali lesbiche, anche quella realtà è diversificata anche esteticamente) questo non porta a concludere che lo sia di sicuro.
Quanto al fatto di piacere a sè o agli altri..io penso che ognuno di noi o la maggioranza di noi fa quello che fa perchè legittimamente vuole pacere a sè e al prossimo dato che viviamo in società e dell’incontro-scontro con gli altri, coi loro occhi non possiamo prescindere e aggiungo, ne abbiamo bisogno, secondo circostanze e secondo la propria indole..se poi questa è innata o meno, ho già detto cosa penso della separazione netta tra natura e cultura. Credo sia un intreccio inestricabile
Credo dipenda da ragioni statistiche, da una parte, e culturali dall’altra; o forse il dato culturale influenza direttamente quello statistico: sappiamo quanto la nostra cultura attribuisca maggiore flessibilità nel modo di vestire, atteggiarsi e presentarsi di una donna rispetto a un uomo, e quanto più leggero sia lo stigma – se poi c’è – rivolto a una donna che imita comportamenti tradizionalmente attribuiti all’universo maschile rispetto al contrario. Tutto deriva dall’inesauribile fonte di maschilismo del nostro paese – 4 per maschilismo tra i paesi considerati “sviluppati”. Questo fa sì che, in altre parole, esista una nutrita comunità di potenziali ftm che vivono un’intera vita come “lesbiche mascoline” per diverse ragioni, i quali spesso sono fierissimi oppositori della causa trans proprio per un alto grado di fobia interiorizzata, per cui non “potendo” loro fare qualcosa per se stessi, tanto vale negare tale possibilità al prossimo.
La risposta a questa domanda risiede nella domanda stessa: rifuggono la definizione proprio perché la definizione stessa è ormai logorata da tanto pregiudizio da essere quasi insostenibile. Persone già fragili di per sé di fronte alla vita, come può essere chi appartiene a una comunità ristretta e prova un grande senso di solitudine, faranno molta fatica a trovare il coraggio di alzare la testa e la voce e dire “Sì, io sono trans”, “Io sono bisessuale” e via dicendo… è tanto più comodo confondersi nell’indistinto, anche quando non si tratta di indistinzione. Io sono favorevole alle definizioni, non mi proclamo contraria a priori solo perché in certi casi sono limitanti; penso solo che si dovrebbe rendere le definizioni elastiche il più possibile (non lasche, elastiche) in modo che siano pronte ad accogliere la ricchezza della realtà che descrivono. E se non sono sufficienti, inventarne di nuove. Chiamare le cose è farle esistere, e il dissidio tra la realtà, che di per sé è un sistema continuo, e il linguaggio, che è invece un sistema discreto, non sarà mai sanato. Però tanto vale allenare il linguaggio ad arricchirsi il più possibile, invece che lasciarlo languire nella povertà.
Be’, questa domanda parte da un presupposto impreciso in partenza: la “femminilità”, come la “mascolinità” non sono innate, ma sono acquisite (e, in alcuni, splendidi casi, scelte). Il fatto che una donna “mascolina” venga immediatamente sospettata di lesbismo – il sospetto è accresciuto in modo inversamente proporzionale all’avvenenza della donna in questione, perché le donne un po’ androgine ma comunque attraenti allo sguardo maschile non godono di questo privilegio – è di per sé una conferma al fatto che la “femminilità” non è serie di caratteristiche intrinseche della donna. Lo stesso vale per la mascolinità, naturalmente. E qui il punto in comune con la prima risposta è evidente: il maschilismo imperante fa sì che ogni fenomeno, ogni immagine, ogni gesto, vada ricondotto all’uomo e alla sua ostentazione compulsiva di eterosessualità. Per cui una donna esiste in funzione dell’uomo e per soddisfare le sue esigenze; ergo una donna lesbica non esiste; ergo medici, chirurghi e terapeuti di questo paese, quando trattano una mtf, hanno in testa la zuccherosa idea di confezionare una donnina robotica in grado di soddisfare le più inconfessabili fantasie del maschio etero. Io ho detto vaffanculo a tutti, e le palle me le sono tenute strette.
Si tratta in parte di un fatto utilitaristico, di questioni legate alla cultura individuale non posso occuparmi ora: loro sanno di essere la maggioranza e vogliono spingere per portare avanti quelli che considerano “loro” diritti. Noi T siamo solo d’intralcio in questa battaglia, per le menti più eccelse dei movimenti gay/lesbici, perciò andiamo semplicemente squalificati, omologati al binarismo, per cui continuano a esistere solo donne e uomini. Di questi una nutrita fetta è eterosessuale, dunque il nemico da combattere. Gli altri sono omosessuali, di cui una minoranza combattenti strenui consumati da anni di lotte egoistiche. Solo una minuscola quantità in questa minoranza ha la capacità di capire che insieme possiamo fare di più, non solo perché siamo altre persone che possono condividere le loro forze, ma anche perché ampliamo lo spettro delle possibilità, completiamo il quadro dei diritti civili in questo ambito. Ma è una esigua quantità, per la maggior parte restiamo solo spettri che vanno rimossi prima che facciano il danno di venire alla luce e confondere i benpensanti che – guai! – potrebbero assimilare L e G a T, e sarebbe la fine, perché su di noi gravano ancora tanti di quei pregiudizi. E’ un po’ come chi sta per mettersi in salvo a bordo di una nave che da poco è riuscito a raggiungere (la nave della “Normalità”) e a scanso di equivoci taglia la corda che tiene legato a sé l’altro, più ingombrante naufrago, che sulla nave farebbe molta più fatica a integrarsi perché del tutto estraneo agli occhi dei più. Perché rischiare, quando può essere tutto più semplice?
Ecco, consegno il compito in classe.
Sono stata brava, professore?
“la “femminilità”, come la “mascolinità” non sono innate, ma sono acquisite (e, in alcuni, splendidi casi, scelte”
ma se crescendo la mascolinità o la femminilità che hai acquisito non ti pesa ma la senti come parte della tua identità è in un certo senso “scelta” anche quella. Qualunque sia la nostra identità di genere siamo un intreccio inestricabile di natura e cultura
ma è vero che a molti il “binarismo” non genera sofferenza.
ma è anche vero che l’essere umano, mediamente, accetta passivamente il suo destino in tutto e per tutto, non solo nell’espressione del ruolo di genere.
io dico che se una persona non si riconosce nel genere legato al suo sesso biologico prima o poi questo conflitto verrà fuori, nascere in un corpo che non si sente come il proprio alla lunga non si può accettare passivamente o si starà malissimo.. Poi per me i concetti di mascolinità e femminilità sono vasti: se vedo una donna con un’estetica mascolina (capelli cortissimi ecc..) la considero una donna (a meno che non sappia che è transgender ftm), lo stesso per un uomo con tratti estetici solitamente “femminili” (capelli lunghi, orecchini ecc..)
per essere ancora più chiaro: non credo che tutte le persone cisgender abbiano accettato “passivamente” il loro destino..sono semplicemente, chi più chi meno, a proprio agio con il genere legato al loro sesso biologico così come una persona transgender è a proprio aggio in un genere opposto
oh no di nuovo, ora mi sono innamorato di te!
Sono d’accordo, ma ho usato i termini acquisire e scegliere proprio perché implicano gradi di consapevolezza diversi. Nella nostra società una persona cisgender, a meno che non si confronti con realtà che la spingono a farsi domande sulla propria identità, ha un grado di consapevolezza minore del rapporto tra proprio sesso e proprio genere, tra identità e ruolo di genere e via dicendo. E per consapevolezza non intendo sofisticazione o profondità: esistono tante persone T* che hanno una visione altrettanto binaria (o superficiale) della loro condizione, ma quantomeno hanno dovuto confrontarsi con situazioni che le hanno spinte a fare una scelta oltre il genere che veniva loro riconosciuto sulla base di un dato anatomico. Detto questo, come esistono transgender “superficiali” esistono cisgender con una consapevolezza profonda della propria identità.
Molto male, professore! Lo sa che è proibito dall’ordinamento scolastico.
credo (ma è una mia personale opinione) che una persona trans si sia confrontata prima di tutto con un disagio interiore tremendo che io come tutte le persone cis non posso capire, posso solo immaginare quanto sia tremendo: quello di avere un sesso biologico che non corrisponde al sesso a cui si sente di appartenere..ma come fai notare non è assolutamente detto che chi non prova tale disagio sia meno auto-consapevole o meno “autentico”
Sai, il transgenderismo si compone in realtà di molte sfaccettature diverse. Un grado più o meno intenso di disagio legato a sesso e genere, naturalmente, accomuna tutti quanti, altrimenti si parlerebbe di altro e non di disforia di genere (o incongruenza di genere, come pare si chiamerà nel DSM V). Non è detto che il disagio sia solo legato al fatto di avere un sesso biologico discordante dal genere, certe volte il disagio può essere più legato al genere stesso, a prescindere dal sesso. Quindi un disagio identitario che ha a che fare con il ruolo di genere imposto e non sentito, oltre che manifestazioni fisiche tipiche di un sesso che non si vorrebbe manifestare. Se è vero che i sessi (escludendo da questa argomentazione l’intersessualità) sono due, i generi sono plurali, e c’è chi soffre più per la costrizione dei generi alla binarietà che per la incontrovertibile binarietà dell’anatomia umana.
Detto questo, il disagio interiore tremendo posso averlo, per altri motivi, le persone cisgender tanto quanto le transgender.
non sono un esperto, mi scuso se il termine disagio è sbagliato..è ovvio che un disagio possono averlo anche i cisgender (infatti ho parlato di persone che, chi più chi meno, stanno a loro agio all’interno del genere legato al sesso biologico)..per disagio tremendo intendevo quel nascere donna in un corpo di uomo o uomo in un corpo di donna che solo i trans provano..io non lo provo, ma immagino che sia una cosa molto più profonda di ogni altro tipo di problema una persona cisgender possa avere col proprio corpo e/o con la propria identità (disturbi alimentari a parte). Però non vorrei fare classifiche
Il termine disagio è assolutamente appropriato. Mi limitavo a dire che nel grande gruppo del transgenderismo sono raccolte tante identità e che non tutti sentono di essere nati “donna in un corpo di uomo” o viceversa, senza per questo soffrire un disagio minore. C’è anche chi è consapevole di avere un genere che non rientra necessariamente nell’ordine binario uomo/donna. Semplificazione assurda e svilente anche per i cisgender, perché in fondo ognuno è “uomo”, “donna”, “asino”, “primula” o “scopa” insindacabilmente a modo suo. Che poi si sforzi di conformare il proprio essere individuale a canoni dettati dalla cultura e dal tempo che sono archetipi teorici e inesistenti, è un altro discorso. Non cancella il fatto che il superuomo o la superdonna sono idee estreme e spesso stereotipate che non hanno alcun fondamento nella cultura, e inducono grande sofferenza tanto nei cisgender quanto nei trans, perché l’obbligo a conformarsi a un modello che non si sente del tutto proprio è un problema che affligge, per fare un esempio molto attuale, tanti uomini del nostro mondo occidentale contemporaneo; tanti di loro, con una sensibilità individuale ben più complessa, rifuggono tratti di sé bollati come debolezze o bizzarrie, in favore di un modello dominante di machismo astratto che non fa per loro, e in questo modo castrano la propria sensibilità e non possono che soffrirne (tanti di questi sono quelli che sentenziano sui grandi valori della nostra società e poi nottetempo, quando nessuno li vede, visitano prostitute trans al più vicino marciapiede).
Poi, al di là di tutto, sì, la disforia di genere è un disagio molto pesante, nella maggior parte dei casi.
ok, lungi da me negare la pluralità nel mondo trans come nel cisgender. Ci tenevo solo a dire che nessuno è a priori da considerarsi meno “autentico” di un altro (poi ovviamente il caso dell’ anti-gay conservatore che va con prostitute trans è un’altra. Là non solo l’inautenticità ma l’ipocrisia è chiara)
Ci tenevo solo a dire che nessuno è a priori da considerarsi meno “autentico” di un altro per il modo più o meno “diffuso” in cui vive il suo sesso e il suo genere..così è più chiaro, forse
Ottimo, siamo d’accordo. Non ho mai ritenuto persone cisgender meno autentiche solo perché cisgender; se sono poco autentiche lo sono certamente per altri motivi. E’ anzi più facile che persone trans ricadano nel pericolo di essere poco autentiche verso se stesse, perché insicure, mal consigliate, indirizzate verso percorsi obbligati, o tanto altro, come dicevo in risposta al post originale.