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Le persone T e Non Binary rafforzano gli stereotipi? Falso. Vediamo perché…

L’accusa più frequente che ricevono, da parte del cosiddetto movimento “gender critical”,  le persone transgender e non binary è quella di “confermare gli stereotipi”.
Il messaggio implicito è che la condizione transgender non esista, che siamo tutti “cisgender” (anche se loro non userebbero mai questo termine, preferirebbero il più gettonato “normali”), e che in realtà si definisca transgender chi è troppo debole per vivere come “non conforme ai ruoli”, rivendicando sesso biologico e nome anagrafico.
Per dirla con un esempio, secondo loro un ragazzo ftm, o non binary di biologia xx, dovrebbe vivere usando nome anagrafico, usando la grammatica in modo che si declini in base al corpo, esprimendosi poi, nei ruoli, in modi non previsti o accettati dalla società.

Il movimento T supporta le persone cisgender che sfidano ogni giorno ruoli ed espressioni binarie e tradizionali, perché la loro presenza, indirettamente, contribuisce a far sì che vengano accettate le persone LGBT.
E’ però un percorso adatto a chi non ha una tematica di identità di genere, e che mette in discussione “solo” i ruoli.



Affrontiamo però, una per una, le contraddizioni della visione Gender Critical…

 

1) “Il genere è un costrutto. Se tua madre ti ha chiamato Carmela, devi usare quel nome, e poi reinventare il tuo ruolo di genere, come donna”

 

Se “il genere” è un costrutto, allora è un “costrutto” che ci nasce con la vagina si chiami con un nome scelto dai nomi di persona “approvati” per le bambine (tanto che spesso, almeno nel passato, i genitori italiani che volevano chiamare Andrea loro figlia hanno avuto dei problemi). Se siamo contro questo “costrutto” e i suoi stereotipi, allora chiunque, portatore di pene o di vagina, dovrebbe potersi chiamare Kevin, Alex o Maria Antonietta.
Imporre un nome aderente a quel “costrutto”, sarebbe un modo di supportarlo, così come viene supportata l’impostazione grammaticale che vuole la A per i nati con la vagina e la O per i nati col pene. Perché? Se è un “costrutto” non dovremmo essere contro questo “costrutto”?

 

2) “Voi ftm gay volete solo sfuggire dalla tossicità di un compagno etero”

 

“Gay” ed “etero” sono orientamenti, che nulla dicono sul ruolo di genere della persona, né su quanto la persona sia misogina, né su quanto voglia prendersi carico della gestione domestica, o vogliano prendersi cura del piacere del/della partner. Detto questo, io scarterei l’idea che “una donna etero” si finga “uomo gay” per smettere di attrarre l’uomo etero ed attirare un tipo di uomo più “civile”.
Mi interrogo, però, se quest’argomentazione nasca da una frustrazione di fondo della donna etero, lasciata da “sola” da tutti questi “migranti del genere” che lasciano il porto dell’eterosessualità femminile per approcciare altrove: donne eteroflessibili, omoflessibili, bisessuali, che scelgono infine una compagna donna, magari proprio per sottrarsi a quella dinamica eteronormativa tossica che non fa di per sé parte dell’essere etero, ma di fatto vi si sovrappone, e anche quelle persone transgender o non binary che si trovano meglio nelle relazioni non eteronormative e non binarie con partner uomini non eterosessuali.
Anche fosse così, e non credo sia così, sarebbe solo la prova che il movimento femminista ha fallito, e sa solo dispiacersi del fatto che venga preferita qualsiasi definizione a “donna etero”, un po’ come quei governi che attaccano chi va a vivere all’estero senza concentrarsi su dove hanno sbagliato per il fatto che le persone vanno via, e sono felici altrove.
Se fosse vero, se noi ci definissimo “altro” da donna etero per scappare ad un “ingrato destino”, fatto di maschi binari spaparanzati sul divano, mentre la moglie pulisce il culo del bebè, non sarebbe solo un segnale del fatto che, al posto, di disperdere energie nelle battaglie “gender critical” bisognerebbe riqualificare la condizione di “donna etero”, rendendo meno tossico, per una donna, stare in coppia con un uomo etero?

 

3) “Se una donna mascolina vuole essere considerata uomo, rafforza lo stereotipo che solo un uomo può fare cose maschili”

 

Premettendo che persone T e non binary non sempre (anzi, quasi mai) incarnano lo stereotipo, mi chiedo perché si faccia sempre leva sulle incarnazioni stereotipate delle persone T e non su quelle di altre realtà.
Premettendo che ognuno di noi dovrebbe incarnare l’espressione che sente più sua, se proprio dovessimo restituire questo atteggiamento, potremmo dire che:
le donne lesbiche butch e gli uomini gay “checca rafforzano lo stereotipo che si possa essere non conformi ai ruoli solo se omosessuali
– le coppie lesbiche butch-femme e le coppie gay virile-checca rafforzano lo stereotipo che anche le coppie gay debbano essere eteromimetiche e che quindi ci sia sempre una polarità femminile ed una maschile, come nell’eteronormatività, e che quindi l’unico modello di riferimento valido sia sempre e solo quello della coppia etero.
– le femministe etero che depilano polpacci, baffi e via dicendo fomentano lo stereotipo che se devi piacere all’uomo devi avere un’espressione di genere aderente allo stereotipo, almeno il minimo sindacale, altrimenti rischi di rimanere zitella.

 

4) “Se ti definissi donna, saresti più efficace, la tua esistenza combatterebbe gli stereotipi”

 

La presenza di persone che, rivendicando sesso biologico e nome di nascita, si comportano in modo non binario, cambierà il mondo: vero. Il movimento T tifa per queste persone.
Tuttavia, è una battaglia che deve fare chi T non è.
La felicità prima di tutto: non è sacrificando le persone T e non binary, imponendo loro di presentarsi come da sesso biologico, che le cose cambieranno.
E’ il momento, per le persone gender critical, di scendere in piazza rendendo politici i loro corpi: che siano loro, i critici del genere, ad incarnare ruoli contro ogni logica binaria e normativa, che smettano di chiedere a noi di combattere le loro battaglie, mentre incarnano i dettami rassicuranti della società per non rischiare la marginalità che rischiamo noi.

 

5) “Una famiglia preferisce un/a figlio/a transgender ad un/a figlio/a omosessuale o di ruolo non conforme”

 

Quasi tutte le persone T, ai gruppi di autocoscienza, rivelano che i familiari avevano maggiormente accolto l’eventuale precedente coming out di “cis omosessuali” o accettavano maggiormente una non conformità agli stereotipi, legata alla rassicurante presentazione in società col nome anagrafico.
Chi parla, non ha idea del prezzo di un coming out transgender, in un posto di lavoro, in una famiglia d’origine.
Se così non fosse, non ci sarebbe tanto “velatismo”, di persone T etero che vivono da cis omosessuali o di T gay che vivono da cis etero. E queste persone T velate, attualmente, sono la maggioranza delle persone T.

6) “In un mondo antibinario, non esisterebbero le persone T”

 

Non sappiamo se, in un mondo totalmente antibinario, con una grammatica inclusiva, nomi anagrafici unisex, vestiti e ruoli unisex, esisterebbero le persone T.
E’ difficile fare valutazioni su quel mondo: magari la body modification, anche sui caratteri sessuali, sarebbe estesa a tutti, e non solo a chi oggi si definisce T, e di contro chi oggi si definisce T potrebbe non averne bisogno.
E’ facile immaginare quel mondo senza persone T, ma per noi potrebbe essere facile immaginarlo senza omosessuali ed eterosessuali. Cadute tutte le differenze tra xx ed xy, rimarrebbe solo il corpo, che, svuotato da tutti i sovra-contenuti culturali, soprattutto nelle persone giovani (o paradossalmente, molto anziane), è androgino. Chi può dire se, in questo mondo “non binary”, i genitali avrebbero l’importanza che hanno nel nostro?

 

7) “Anche io mi sono interrogata, volevo transizionare, ma poi il femminismo mi ha salvata”


Sembrano presenti, molto spesso, i casi di donna “gender critical” che da giovane era questioning sull’essere transgender. Imma Battaglia, J.K.Rowling e tante altre. Nulla di male: tante persone vivono periodi “questioning” su orientamento sessuale ed identità di genere.
Perché proiettano il loro percorso, dignitoso quanto il nostro, ma che ha portato su altri lidi, su di noi? Perché tanto risentimento per la via che hanno scartato? Cosa c’è di non risolto in quell’odio?

 

8) “Ora ti definisci uomo, ma un domani potresti definirti donna butch”

 

Spesso, le femministe lesbiche rivendicano azioni “alla Povia” in cui ricordano che qualsiasi definizione può essere smentita, rivisitata, cambiata, negli anni.
In realtà, questo vale anche per la definizione che diamo del nostro orientamento. Quante militanti di associazioni lesbiche ora sono madri di famiglia con tanto di marito etero al fianco? Idem per chi è stato attivista gay, e per i tanti e le tante etero che solo in tarda età si sono accettati come omo o bisessuali (i cosiddetti “percorsi secondari”), e, per concludere in bellezza, tutte quelle persone che, dopo anni nella militanza omoessuale, si sono scoperte ed accettate come omoflessibili, eteroflessibili, bisessuali, pansessuali.
L’esplorazione di se stessi è fisiologica, avviene, ma sottolineare il tema “presta il fianco” ai ripatatori, ai seguaci di Nicolosi e Povia, a chi propone i percorsi “ex gay”, “ex lesbica”, “ex trans”, in cui interviene “la devozione verso Cristo”.
Evidentemente, però, i gender critical stanno molto attenti a dire che l’orientamento può essere rivisitato ed esplorato, nel corso della vita, e sottolineano invece che l’identità di genere può essere ridiscussa dalla persona, portando sul palmo di mano tutti quei percorsi “desister”, che esistono, pur essendo pochi, e valorizzando persino quei percorsi legati a conversioni religiose.

 

Conclusioni

Concludendo, io penso che chi combatte battaglie femministe “gender critical” sia molto frustrato/a. I risultati tardano ad arrivare e dà fastidio che chi sceglie altri percorsi rivendicativi sia felice.

Tante, troppe, pagine di presunto femminismo hanno esclusivamente contenuti contro la condizione T: nessuno spazio alla lotta contro ruoli e stereotipi di genere.
Se davvero, come loro sostengono, l’autodeterminazione è qualcosa di effimero e variabile, se davvero le nostre definizioni valgono nel “qui ed ora”, perché, al posto di insultarci, delegittimarci, misgenderarci, deridere le nostre autodefinizioni, non combattono per costruire quel mondo senza dettami di ruolo?
Siamo un nemico debole, rassicurante, un bersaglio facile. Siamo, per usare una parola “complottara”, l’arma di distrazione di massa, il giocattolo delle teoriche annoiate, professoresse di diritto in pensione e  scrittrici autoprodotte.
Il vero nemico è quel marito che hanno nel letto e non ha mosso un dito nell’educazione dei loro figli, il capo che le sottopaga in quanto donne, il figlio machista e bulletto che presenta tutto il maschile tossico del padre, nonostante una madre femminista, eppure, tutto ciò, sembra meno pericoloso di una persona xx che si definisce uomo e ha un fidanzato gay…

 

 

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