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In memoria di Deborah Lambillotte: la più importante attivista transgender e lesbica della storia italiana

Il 4 marzo, è caduto il genetliaco di Deborah Lambillotte (4 marzo 1954 – 28 luglio 2016), una figura centrale per le rivendicazioni sociali delle persone transgender. Di origine belga ed ebraica, ha fondato in Italia Arcitrans (1998) ed è stata la prima socia transgender del circolo Arcilesbica Zami di Milano.
In sua Memoria, il Circolo Culturale TBGL Harvey Milk Milano ha organizzato un evento, in collaborazione con Progetto Genderqueer e Cig Milano.
Per approfondire la sua figura, abbiamo deciso di parlarne con un suo grande amico, il copywriter e direttore creativo Paolo Rumi.

Deborah Lambillotte

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In che occasione hai conosciuto Deborah?

Potrei dire di essere stato un amico di famiglia. Ho conosciuto Debbie quand’era ancora Philippe, ossia un uomo felicemente sposato. Era amica di alcuni tra i miei migliori amici e fu proprio una serata con loro in discoteca, la Nuova Idea, a far scattare in lei la decisione di non nascondersi più e far partire il percorso che portò poi alla riassegnazione di genere. Vide –ancora da uomo- che non era l’unica a vivere quella realtà e avere quel problema!
Devo dire però che non mi fece immediatamente effetto in quel periodo, forse perché avvertivo un dissidio o qualcosa che “non funzionava” in lei.
Fui piuttosto a far colpo su lei e, per la chimica che si sviluppa tra esseri umani, fu lei a scegliere poi me e il mio compagno come sparring partner e amici di fiducia durante tutto il suo periodo di transizione.
Questo fu per noi un onore e siamo diventati amici di famiglia, anzi: la sua famiglia.
Vengo da una generazione che ha fatto propri i temi della liberazione sessuale e, oltre ad un compagno stabile da 30 anni, avere amiche intime lesbiche o addirittura una donna trans era uno dei desideri più grandi della mia vita. Realizzato grazie alla mitica Deborah.

Come mai lei teneva tanto a sottolineare le proprie origini ebraiche?

Credo fosse tutt’uno col suo carattere inclusivo, con la carica di energia e l’interesse a porsi domande nella vita tipico della cultura ebraica, specie se progressista (l’interpretazione critica è un’attitudine fondamentale di quella cultura). Prima di conoscere sua moglie, Deborah visse anche in Israele, lavorando in un kibbutz. Del resto, Deborah non sottolineava solo le origini ebraiche, ma tutta la parte di sé che aveva a che vedere con l’intelligenza e l’analisi della realtà in modo problematico e pragmatico.
Ad esempio, teneva sempre a sottolineare come lei non fosse “di sinistra”, bensì liberale, ossia di destra e progressista insieme, concetto e posizione poco comprensibili per la mentalità italiana, dove la destra politica o la fede religiosa coincidono con oscurantismo.
A proposito del suo essere ebrea, c’è un interessante aneddoto. Quando andò in sinagoga, una volta il rabbino le chiese, rivolgendosi a lei come Deborah, come mai da molto tempo la vedesse poco. Lei rispose. “…e dove dovrei mettermi? Sulle scale?” (In sinagoga, i maschi e le femmine sono separati). Con una risata benevola, da quel giorno Deborah poté andare con le donne.

Deborah Lambillotte

Deborah fu un architetto di successo. Si sa che il lavoro è un punto importante (e dolente) nella vita delle persone transgender. Spesso, non trovando accettazione sociale, le donne mtf si danno alla prostituzione, dove sono trattate con particolare disprezzo da clienti e compagni. (Di questo tratta anche il romanzo autobiografico di Monica Romano, Trans. Storie di ragazze XY, uscito per i tipi di Mursia). Deborah dovette affrontare particolari difficoltà, per mantenere la professione “diurna” in cui eccelleva? Dedicarsi a un lavoro altamente qualificato e lontano dal marciapiede fu anche una rivendicazione sociale, per lei?

Deborah sapeva fare molte cose. È stata anche cuoco –per esempio- e mi ha insegnato piccole accortezze nordiche in cucina. Le sue cene del Sabato Sera a casa sua, prima di andare alla Nuova Idea nel periodo di transizione, sono indimenticabili.
Deborah, però, ha avuto seri problemi con il lavoro a seguito della sua decisione. quando iniziò il percorso con cure e trattamento ormonale (in età decisamente avanzata, 46 anni!). Dai suoi soci in uno studio grafico e di servizi per l’editoria, ebbe garanzia che nulla sarebbe cambiato.
Al contrario, quando tornò, le fu impedito di proseguire il contatto diretto con i clienti finali, con la scusa che si sarebbero imbarazzati a vedere un cambiamento così rilevante “a mezza strada”. Questo la spinse a lasciare il lavoro, addolorata e umiliata. In quel momento critico, l’abbiamo aiutata un po’ noi amici e in seguito, tornata in Belgio, la famiglia.
Poté così provvedere alla sua vita diversamente, ricoprendo anche ruoli pubblici di responsabilità notevole (CoPresidente dell’ILGA).

Donna transgender e lesbica, un tempo ammogliata. Ecco un altro tratto della personalità di Deborah che esce dallo stereotipo della “trans”. E da quello della lesbica, anche. Quanto dovette lottare per far riconoscere la propria singolarità, non solo nella società, ma nel mondo dell’attivismo?


È stato difficile, eccome! Sentimentalmente, nel primo periodo, Deborah tentò anche relazioni con uomini, provando poi delusione per l’incapacità maschile di andare oltre l’aspetto strettamente sessuale.
Sul piano pubblico, atteggiamenti d’incomprensione o mancanza di stima non mancarono certamente. Ma Deborah riuscì a superarli e dribblarli con la sua grande preparazione, la sua cultura e quel senso profondo di umanità che la distingueva.

Fu la prima socia transgender di Arcilesbica Zami di Milano: questo si ricollega alla domanda precedente. A volte, le donne lesbiche faticano ad accettare le mtf come “alcune di loro”, per via di quel cromosoma Y. Una matura donna transgender con cui ho interagito mi ha detto, testualmente: “Siccome non ho la vagina, le lesbiche non mi vogliono nemmeno conoscere” (a scopo di appuntamento galante). Anche Deborah incontrò questo tipo di barriera?

Anche le donne lesbiche la rifiutarono e questo diventò per lei uno specifico punto distintivo di battaglia. Una volta, fu rifiutata a me e al mio compagno l’entrata ad un circolo lesbico (il Recycle, se ricordo bene), in occasione della presentazione di un libro di Maria Nadotti. Bene, lei e Maria ci difesero e avrebbero fatto saltare la presentazione, se non avessero permesso a noi uomini “aperti” di partecipare.
In compenso, ricordo Deborah ballare il valzer nella sala del ballo liscio della Nuova Idea con la mia amica Rosamaria, che la trovò bravissima nel ballo.

La Lambillotte volle mantenere il grado che le era stato riconosciuto nell’esercito belga, anche dopo la rettifica di nome e genere sui documenti. Insomma, rifiutò di estraniarsi dalla società e volle che i suoi meriti fossero riconosciuti in tutti i campi in cui li aveva guadagnati. Cosa può dire il suo esempio alle persone queer tentate di isolarsi da una società nei cui schemi non si riconoscono? E alle donne? Ricordiamo che la carriera militare è stata uno dei campi più refrattari all’inclusione del genere femminile…

Credo che Deborah abbia insegnato molto a tutti. Fu anche Presidente di ArciGay in un periodo molto litigioso e burrascoso per quell’associazione, fungendo così da paciere e aiutando posizioni e comportamenti più moderati e invitando a stemperare ire e atteggiamenti polemici inutili, chissà… Forse, proprio grazie a quel suo passato militare.
Mi ricordo anche di un altro particolare legato alla sua natura battagliera.  Come Presidente di ArciGay, o semplicemente per andare a ballare, una sera le fu vietato l’ingresso alla discoteca One Way, in quanto “donna”. Questo la offese o, meglio, la fece imbufalire.
Qualche mese dopo, quando la Polizia fece irruzione a metà della notte al One Way –allora circolo Arci- e sorprese uomini nel corso di rapporti sessuali, la chiamarono subito. e lei rispose gelida: «Me ne occuperò domani mattina».
Deborah aveva una luce interiore fortissima, dedicata al rispetto di sé e degli altri. Ha insegnato anche a me ad essere me stesso e a “vedermi” in modo corretto. Imparare a distinguere, in me e negli altr*, tra sesso, genere e orientamento è stato il regalo più grande che mi ha fatto.

Ai tempi in cui Deborah era giovane, il suo modo di vivere la condizione di transgender era tutt’altro che scontato. Come riuscì a rifiutare di nascondersi? E oggi le cose sono più facili, per le mtf che vogliono vivere “di giorno”?

Quand’ho conosciuto Deborah, era apparentemente uomo, come ti dicevo prima. La cosa più bella ed affascinante è stato seguire tutto il cambiamento –fisico e di carattere- avvenuto in lei. Aveva una particolarità assoluta come donna: già per imponenza e presenza non passava certo inosservata. Se a questo si univano, poi, il suo senso dello humour pragmatico e dissacratorio e la sua umanità determinata ad abbattere ingiustizie e barriere, il risultato era insuperabile: la mia amata Deborah.

Deborah Lambillotte

 

Intervista a cura di Erica Gazzoldi Favalli

 

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