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La sua versione dei fatti…

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Giornalista: Buongiorno Nathan
Nathan: Buongiorno, allora quando si parte con le domande?

Indice dei contenuti

G: Prima di tutto ti andrebbe di presentarti per la nostra redazione?

N: Nathan, quasi trentenne, architetto e formatore, musicista semiprofessionista, associazionista convinto, appassionato di antropologia, sociologia, politica, saggistica, collezioni, cultura geek

G: Basta, Basta, qualche difetto?

N: qualcuno dice che i miei difetti derivano dalla mia condizione personale, che comporta uno stress nel relazionarsi continuamente con estranei, e dover spiegare di sé, o subire il misgendering, deadnaming, ma magari alcune di queste caratteristiche le avrei comunque. Odio viaggiare, odio le comitive, i locali, il divertimento “disimpegnato”. Ho un caratteraccio e non ho il dono della sintesi.

G: Ma non ci hai ancora detto nulla relativamente alla tua identità di genere e orientamento sessuale, né della tua attività di attivista.

N: mi presento con un nome inequivocabilmente maschile, quindi do per scontato che in quest’informazione, che riceve la persona a cui mi presento, c’è anche il genere grammaticale che dovrebbe usare per rivolgersi a me.
Il mio orientamento erotico-affettivo…le mie prede hanno l’onore di esserne informate, no?
Delle mie attività di attivista, ovvero il mio Blog, e l’ Associazione Milk di cui sono Presidente dal 2010, parleremo nel corso dell’intervista…

G: un attivista che non pensa che la visibilità dell’identità LGBT sia importante? Davvero singolare!

N: per sei anni la mia faccia è apparsa su riviste di ogni genere e specie, con didascalie che mi indicavano come transgender, come presidente del Milk, e persino come santo protettore dei bisessuali.
Succede che dopo tanti anni di attivismo, e dopo aver terminato una fase conoscitiva di se stessi, nonché dopo aver sperimentato la visibilità sociale in tutte le sue forme, si desidera sviluppare le altre identità di se stessi.
La mia identità politica, ad esempio, che diverge molto da quella più sentita nella comunità LGBT. La mia identità territoriale, vista la mia esperienza di “migrante”, anche se sul territorio italiano. La mia identità professionale, che parte dalla mia formazione accademica, dai miei studi personali, ma si modella e si evolve nel tempo, la mia laica spiritualità. Tutto questo, senza negare l’identità relativa all’appartenenza all’acronimo TBGL.
Per capirci…oggi come oggi non userei mai la mia identità TBGL nella mia frase di presentazione, anche perché la mia visibilità è fisica, e presentandomi come Nathan in realtà ti ho già detto chi sono…

G: una visibilità “evidente”, presentata con odio/amore, come mai la scelta di non transizionare?

N: Singolare che tutti chiedano perché uno “non” faccia qualcosa…non sarebbe più sensato chiedere perché si fa qualcosa? Si chiedono le spiegazioni più di un’azione che di una “non azione”, no?
Mentre si lascia che i percorsi gay, lesbici o bi siano infinitamente vari, ci si aspetta che le persone transgender siano come dei vagoni in fila su un binario, a percorrere tutti le stesse tappe, come se ci fosse un inizio o una fine predeterminati, e che solo la percorrenza di questa “maratona” rilasci un “diploma di trans” (a parte che il mio obiettivo era di essere riconosciuto uomo nella vita reale, e non “transgender” dai transgender).
Forse non esiste una linea retta, forse non esiste un inizio e una fine. Forse non possiamo essere neanche punti sparsi in un piano cartesiano, perché ciò determinerebbe due valori (uno in ascissa, uno in ordinata). Forse ognuno è ciò che è, ma soprattutto, ciò che è in quel preciso momento, e sempre in evoluzione.
Un mio compagno di liceo, ingiustamente bocciato, diceva sempre che “all’uomo erano stati tolti due diritti: quello di togliersi la vita e quello di contraddirsi“. Per questo una persona non può, senza subire uno shitstorming, passare da un’esperienza, anche duratura, come omosessuale, ad una come eterosessuale (sarebbe visto come il “traditore della causa politica gay“), mentre siamo quasi più tolleranti se è una persona transgender ad esplorare nuovi aspetti del proprio orientamento erotico-affettivo (tanto, più “sputtanato” di così…avremmo la certezza che non lo fa per velarsi!).
Alla luce di questo, posso dire che io “adesso” ho valutato di non intraprendere un percorso medicalizzato, ed è molto probabile che sia una scelta definitiva. Troppe volte, però, sento persone dichiaratamente “non med”, dire che “non si sa mai, in futuro“, quando qualcuno chiede loro perché sono non med. E non voglio dare contentini. Eppure, viste le sorprese che mi ha riservato puntualmente la vita, mai dire mai.

G: ho capito, rimandiamo la domanda al punto caldo della domanda, del resto, quando uno sta bene con il suo corpo, perché giudicare…

N: Mi diverte il fatto che il non voler essere sottoposti a una terapia ormonale sostitutiva viene associato immediatamente a un amore per il corpo, o a un “agio” (come opposto di dis-agio) e non si pensa mai che si possa essere arrivati a questa conclusioni per altre motivazioni.

G: del resto è risaputo che ormai ci sono persone dalle mille identità intermedie, 1000 e più generi…

N: è indubbio che ci siano persone dalle infinite identità intermedie, ma non è detto che sia proprio la persona non med ad avere un’identità intermedia. Una persona potrebbe avere un’ identità di genere totalmente maschile, eppure potrebbe non desiderare la T.O.S. (terapia ormonale sostitutiva, vedi sopra), mentre potrebbe percepire se stessa di un’identità “intermedia”, o caratterizzata dalla compresenza entrambi i generi, o di nessuno, o di un terzo, e desiderare la terapia ormonale e/o la transizione medicalizzata, sia per un cambiamento totale, ma anche solo per raggiungere un’estetica androgina coerente allo stato psicologico che si sente (microdosing, top surgery, depilazioni con laser).
Quindi il mio “non assumere ormoni maschili” non dipende neanche da questo.
Ma che non si pensi che se un ftm si definisce di “identità di genere totalmente maschile” esso aderisca completamente al “ruolo” maschile. Rimango, relativamente a ruoli e stereotipi, un attivista antibinario. Amo definirmi “ragazzo xx”, o “uomo xx”, piuttosto che ftm, proprio perché non c’è stato un grande cambiamento o passaggio relativamente al mio ruolo di genere, ma anche perché io sono sia “uomo”, sia “xx”, e un tipo di uomo che necessariamente risulta diverso dall’uomo xy (ma come del resto tutti gli uomini sono diversi tra loro, per via della loro storia personale), ma quella differenza non mi rende “meno uomo”, o “di identità intermedia”. Come esistono tante omosessualità, tante transgenerità, esistono tanti modi di essere uomo e donna.
Alcune persone in percorsi transgender non canonici abbracciano anche la definizione GenderQueer, o quella più moderna di “non binary”, ma non è affatto obbligatorio che si riconosca in queste parole.
(ma non avevamo concordato che non sarebbe stata un’intervista con domande morbose e stereotipate? Io già sognavo di parlare del mio amore per la Marvel e la DC….)

G: ce la tiriamo e facciamo gli intellettuali…chi segue i tuoi spazi virtuali all’esterno del tuo blog e delle attività dell’associazione di cui sei presidente sa che ami parlare di argomenti extra-LGBT anche con una certa fierezza, e se permetti, anche con una punta di superiorità, quasi come se le altre persone LGBT, e in particolare trans, fossero capaci di parlare solo di identità gay e trans.

N: colpo basso, lo accetto! E’ vero. I miei amici facebook e della vita reale sanno che ormai non parlo più quasi per niente di questi argomenti, se non in ambienti dove è necessario, o quando assisto a discorsi omo/bi/transfobici e sento di dover intervenire, o quando entro in un nuovo ambiente e devo spiegare perché avendo questa faccia di culo mi rivolgo a me stesso al maschile.
A parte questo, il parlare di “chi” sono e non di “cosa” sono è servito a capire che interessi comuni avevo con chi mi circondava e circonda, con cui in passato, per una ricerca personale su me stesso, parlavo solo di “sesso degli angeli”. Questo mi ha consentito di sapere che alcune persone che avevo accanto erano realmente “ricche” dentro, nonostante fino a ieri le avessi sottovalutate, sottoponendole a un atteggiamento “monomaniaco” sul genere, da cui in fondo passiamo tutti, nella nostra fase di auto-definizione.
Che le altre persone TBGL siano incapaci di parlare di cultura o, che ne so, del loro telefilm preferito? Mai detto. Infatti quando una persona del movimento mi contatta e mi parla per mesi di TBGL, non penso che sia monotematica, penso solamente che, non considerandomi un amico, si limiti a condividere con me solo un aspetto di se stesso, ed non è questo il tipo di rapporto, di amicizia o conoscenza, che ricerco.

G: ma torniamo alla transizione? Perché sei contrario?

N: Innanzitutto non amo che “transizione” sia usato come sinonimo di “transizione medicalizzata”, perché è riduttivo. Il “percorso” non è solo il cambiamento del corpo dal punto di vista della mascolinizzazione/femminilizzazione.
Comunque, non sono “contrario”. Si pensa che il mio essere “non med” mi porti ad essere addirittura contrario alle persone che fanno il percorso medicalizzato, o che addirittura vorrei indurle a non farlo.
Chi mi conosce sa però bene che il mio è un percorso che non consiglio a nessuno, perché ci sarebbero “lacrime e sangue” e tanto olio di gomito, anche perché non ci sono precedenti e il tutto richiede una pazienza e una creatività che spesso manca persino a me.
Non va dimenticato che in Italia non esiste alcuni riconoscimento per la condizione “non med”, e la persona è soggetta continuamente a misgendering e deadnaming, persino in circostanze in cui ha fatto coming out, ma il suo coming out, in mancanza di documenti e passing, è stato ignorato.
Anche lo stesso gruppo di auto-mutuo-aiuto dell’associazione che presiedo, su argomento identità di genere, lo frequento in modo discreto cercando di non porre l’accento sul mio essere “non med”, per paura di destabilizzare persone all’inizio del percorso e che hanno già le idee chiare nel voler seguire un percorso canonico.
Lo stesso accade su internet. Spesso ho notato che alcune persone, spesso agli inizi, si “offendono” quasi solo per il fatto che persone come me esistano, come se sentissero da me minacciato il loro percorso e le scelte che con coraggio hanno prese, quando addirittura non dicono che io non dovrei essere presidente  di un circolo TBGL “perché non assumo ormoni” e “perché non li rappresento” (questo tipo di persona viene chiamata “transmedicalista“), quando in realtà dimenticano che io sono stato eletto per i miei meriti, e non come rappresentante di una singola realtà. Sarebbe come dire che Omaba rappresenta le persone di colore, e solo loro, e che la sua elezione dipenda dal suo essere di colore.

G: insomma, come dire…ti diverti? Andiamo…è divertente giocare sull’ambiguità, quando non si soffre di disforia…

N: affatto. le persone non medicalizzate soffrono esattamente come quelle medicalizzate quando la loro identità di genere non viene riconosciuta.
L’accusa di esibizionismo estetizzante viene spesso fatto al mondo queer, e , a prescindere dal fatto che possa essere o meno fondato, ciò mi ha sempre dato molto fastidio, anche se non mi reputo esattamente “un queer“.
Sicuramente, anni di allenamento a ribattere sempre alle stesse accuse o stereotipi hanno affinato il mio senso dell’ironia.
Faccio spesso vignette e giochi di parole sulla mia condizione, per la gioia di chi segue la mia pagina facebook…ma ciò non significa che io non soffra o non viva male il non essere riconosciuto, da estranei che hanno un contatto visivo con me, come un uomo.
Non amo che si parli della “disforia” come qualcosa di patologico di cui le persone “soffrono”, perché se le persone T non venissero continuamente misgenderate, ci sarebbe molta meno “sofferenza”.
Poi è vero che alcune persone hanno una “body-disphorya” che non è legata, o si aggiunge, a quella sociale, ma la disforia sociale non è meno importante. In generale, comunque, non amo le “gare di sofferenza”, mi sembrano troppo “cattoliche”…
Credo che ci sia un errore di fondo: si associa la transizione medicalizzata alla disforia. Come se tutti coloro che avessero disforia scegliessero l’opzione della transizione medica, e quindi coloro che, per motivi vari, hanno scartato quell’opzione, la vivessero come un gioco estetico e non fosse presente nessuna istanza concreta. Niente di più semplicistico e sbagliato.

G: ma non è che semplicemente è una scelta facile? Essere visti dal mondo ancora come donna, anche se un po’ mascolina

N: Tanto per iniziare voglio chiarire che c’è una grande differenza tra “una mascolina/tomboy” (una donna che assume caratteri maschili per il look e/o per il ruolo sociale, totalmente o in parte) e un transgender non medicalizzato. Ma qui dovremmo interpellare gli occhi del cuore, quelli che non si fermano alla somiglianza estetica di queste due figure.
Facile? Tutt’altro. Facile se mi fregiassi del nome Carmela (si fa per dire, non saprete mai il mio nome anagrafico, eh eh), e usassi questo excamotage per non avere problemi in famiglia, per frequentare cenacoli e simposi senza vedere sbigottire la gente (e diventare magari ostile), e per non avere problemi con gli amici e coi partner.
Ma se con questa faccia da sbarbino/a, ti presenti come Nathan, ogni giorno diventa una guerra. Per questo ormai ho amicizie consolidate, un compagno, attivista gay e scrittore, e sempre lo stesso bar.
Esporsi sempre a persone nuove, a cui dover spiegare perché faccia e nome non collimino, è uno stress che da un lato ho imparato a gestire, dall’altro evito quando possibile…e poi, per fortuna, sono abitudinario…
Forse l’errore sta nell’associare la transizione medico-legale (per gli amici: il punturone), al coming out. Come se chi non transizionasse tramite ormoni automaticamente vivesse da velato. A parte che non credo che i “velati” stiano poi così bene, ma esiste una fetta di persone, forse minuscola, di cui faccio parte, che ha deciso di vivere apertamente la sua identità di genere, nonostante tutto.
Quando ero un giovane attivista pensavo che fosse giusto promuovere la visibilità e il coming out, per ragioni personali e sociali (io stesso l’ho detto praticamente a tutti nel giro di un anno, perdendo quasi tutte le persone del mio ambiente di allora, studenti di Architettura e musicisti, di ambienti più o meno alternativi ma eterosessisti). Del resto la mia vita sarebbe più semplice se qualcuno mi avesse preceduto e la società fosse abituata a rivolgersi al maschile a qualcuno con la mia faccia.
Oggi penso che ognuno possa decidere “quando” e “se“.
Il partner che dovetti lasciare quando iniziò quest‘avventura al maschile mi disse una frase che non dimentico:
“ci sono persone che per stare bene con gli altri, vivono un conflitto con se stessi, come me, e poi ci sono quelli come te, che per essere sereni con se stessi accettano di essere in conflitto con gli altri”.

G: che strano, non transizioni e poi fai di tutto per oscurare il tuo nome anagrafico. Sei riuscito a farti burocratizzare col nome Nathan in un sacco di ambienti che frequenti. Questo non è contraddittorio?

N: esistono tanti tipi di disforie quante sono le persone T. Io non assocerei mai quel nome a me…
E’ più facile paradossalmente che un mio amico intimo veda una mia vecchia foto coi capelli lunghi piuttosto che venga informato de mio nome. Mi riconosco in me da giovane, persino coi capelli lunghi, visto che suonavo metal e li avevano tutti i miei amici di allora, che immagino siano diventati pelati, nel frattempo, ma non in quel nome, che non ho mai scelto.

G: ma per fortuna si puo’ essere se stessi, in ambienti protetti GLBT….

N: in realtà l’unico ambiente veramente protetto che ho conosciuto è stata l’associazione che presiedo, dove davvero nessuno ti chiede “cosa” sei quando ci metti piede.
Quando ero giovane e non avevo chiaro “cosa” e soprattutto “chi” fossi, gli attivisti vecchio stampo erano più impegnati a capire se fossi “chiavabile” e quindi a indagare su cosa avessi tra le cosce e cosa dovesse avere tra le cosce il mio partner. E se io non rispondevo in modo chiaro, arrivava esclusione, emarginazione, e a volte anche una sorta di “diffamazione” (o interpretazione sbagliata, in cattiva fede, del mio pensiero).
Oltre al fatto che alcune persone sembrano avermi cristallizzato al momento in cui mi hanno conosciuto, senza darmi possibilità di evoluzione, anche perché non tutti sono in grado di vedere i cambiamenti che non siano causati da un cambiamento fisico.
Di contro, ho trovato delle aperture in ambienti di “Eterolandia”, anche in ambienti inaspettati, e su cui le persone TBGL hanno pregiudizi, persone non per forza di estrema sinistra, non per forza atee, ma che mettono a primo posto la persona, come allievi, clienti, studenti, genitori di studenti.
La motivazione è semplice: se ad una persona etero, soprattutto se di estrazione culturale medio-alta, ma non solo, spieghi che deve rivolgersi a te al maschile (a volte neanche è necessario “scomodare” il concetto di transgender, che lo/la indirezzerebbe verso un immaginario qualunquista che fa risonanza col mondo dei/delle sex workers, vista la disinformazione di massima), semplicemente decide di darti il maschile o meno, di accettarti come uomo o meno.
Nel mondo TBGL entrano in gioco ferite aperte e definizioni di te per definire meglio se stessi e per consolidare le proprie certezze. A un etero cisgender (non transgender)  invece cambia poco se sei o no medicalizzato, se ti piacciono gli uomini o le donne (visto che magari ti esclude come partner senza troppe paranoie a riguardo).
Il mondo LGBT ha delle sacche di resistenza (“vecchi” attivisti gay e lesbiche, transmedicalisti) che invece hanno motivazioni ideologiche nel misgenderarmi.

G: persino persone credenti?

N: Per un materialista noi siamo i nostri corpi. Non esistendo l’anima, quindi noi siamo corpo e ruoli. E se siamo corpo, per quanto possiamo reinventare i ruoli sociali, ci riduciamo ai corpi: pene e vagina. Quindi una persona con la vagina potrà avere un temperamento maschile, ma rimane “una vagina“. Poi se fa cambiamenti “biologici” allora ne possiamo parlare, ma a loro sfugge proprio il concetto di “anima/psiche” come metafora dell’identità di genere.
Per questo, ripensandoci, ho avuto quasi più relazioni con uomini spirituali e olisti che con materialisti.
Io sono un semplice “curioso” della spiritualità. Studiare la storia delle correnti religiose provenienti da diverse parti del pianeta mi ha ricordato che il “percorso” è qualcosa di interiore, e non esteriore. E che si può avere anche un approccio ecologico rispetto al proprio corpo.

G: vai più d’accordo con gli uomini o con le donne?

N: Uomini. Le donne a volte fanno fatica a rivolgersi a me al maschile.
Gli uomini invece hanno una familiarità che rischia di sorprendere anche me.
Forse ognuno vede in me parti di se stesso/a…
Ad ogni modo spesso nelle donne vi è un rifiuto dell’ftm, come per gli uomini delle mtf. Forse il “genere d’arrivo” è pronto ad accoglierti (con “cameratismo/fratellanza/sorellanza“) maggiormente del “sesso che abbandoni“? I problemi che ho avuto con donne femministe radicali (spesso, ma non sempre, lesbiche) sono stati causati dal loro confondere ruoli e identità di genere, e quindi travisare la mia identificazione col maschile, riportandola a un discorso di ruoli. Ovviamente sono scaturiti ragionamenti grossolani come “guarda che anche una donna può scalare l’Everest, essendo donna“, oppure “tu rifiuti la tua femminilità per il maschilismo interiorizzato“.
Che poi, onestamente, ho sempre detestato lo sport, quindi non è che mi sia mai importato molto di scalare l’Everest…

G: ruoli di genere, identità di genere? Quali differenze?

Bella domanda. Potevi farmela all’inizio invece di ravanare sul privato?
Cosa sono forse lo sappiamo tutti. Sembra evidente il fatto che se la donna fa la calzetta, quello fa parte del ruolo di genere, e non dell’identità di genere.
La vera domanda è: sono interdipendenti? Cambiano a seconda delle epoche? Cambiano a seconda dei luoghi?

G: Il tuo rapporto con le persone LGBT?

N: Domanda complessa. Con le lesbiche direi impossibile, inesistente. Spesso con le persone ftm usano dei meccanismi del tipo “sei una lesbica che , non accettando il suo lesbismo, vuole normalizzarsi definendosi uomo etero”. Ma con me non ce la fanno, in quanto io tecnicamente sarei un uomo gay.
Con le persone trans medicalizzate ho un rapporto controverso. Nel periodo della mia scoperta non c’erano associazioni transgender, quindi non riesco a sentire la “fratellanza” che vedo spesso in altre persone transgender, magari per aver affrontato il percorso medico-legale insieme. In quegli anni io mi confidavo su problemi e frustrazioni sociali con persone che non erano transgender. Ho singoli amici transgender, al massimo…spesso che hanno ultimato già il percorso e si relazionano a me in modo sereno.
Con i gay, escluse carampane del movimento, binarie e vecchio stampo, mi trovo molto bene, ma mi trovo estremamente meglio con persone (ambosessi) pansessuali o omoflessibili, la cui discriminazione interna, ricevuta da gay e lesbiche, sul non essere “nè carne né pesce”, o “dover scegliere”, è molto simile a quella che subiamo noi transgender.
Dal mondo gay maschile arrivano anche i miei partners, visto che ovviamente non mi interessano uomini eterosessuali, così come io, tendenzialmente, non interesso a loro.

G: ho capito bene? Sei “diventato uomo” per poi scoprire che ti piacevano gli uomini? A pensarci prima…

N: assolutamente no. Io sono sempre stato attratto a uomini, anche prima di prendere coscienza della mia identità di genere. Ho avuto anche un’esperienza di fidanzamento con uno splendido ragazzo androgino coi capelli lunghi e vergine prima di me, che mi ha conosciuto “ragazza”, anche se di fatto tra noi c’era un cameratismo invidiabile. Il sesso, per ovvi motivi, era un disastro, e l’ho lasciato quando ho capito che ciò che ero non poteva essere represso, ovvero appena dopo la mia Laurea Specialistica. Dopo di lui ho avuto vari ragazzi gay, omoflessibili e pansessuali, alcuni di questi attivisti.
Il mio essere di identità di genere maschile non è minimamente connesso al fatto che mi “debbano” piacere le donne o che io voglia piacere loro (e quindi avere più possibilità come uomo, essendo di più le eterosessuali delle lesbiche…)
Una precisazione vorrei farla anche su come è stata posta la domanda: una persona transgender che assume l’identità sociale coerente col genere d’elezione non “diventa” uomo. Uomo lo era già da prima. Uomo è l’identità di genere, maschio è il sesso biologico. La persona transgender non cambia genere, e neanche la persona transessuale (o transgender medicalizzata, come sarebbe giusto dire). Al massimo, ma neanche questo è così corretto, la persona transessuale cambia sesso.

G: fammi capire, un gay “verrebbe” con te?

N: non so se “verrebbe” ma posso dire che ho sempre avuto fidanzati gay e sono sempre stati loro a proporsi a me (il termine “verrebbe” o “andare a” è terribile e mi ricorda il sex working). E’ tutto pubblico, anche se no  sono tenuto a “dimostrare” nulla, esattamente così come le persone cisgender non si metterebbero mai nella condizione di “dover dimostrare” che sono piacenti e desiderate.
E poi decidetevi. Da un lato dite che i gay non verrebbero mai con me, dall’altro che i bisessuali non esistono…ma se non esistessero sarei ancora vergine, mi sa!
Mi tocca precisare, per correttezza, che molti uomini omosessuali, la cui omosessualità si concentra sul desiderio del corpo maschile, e del fallo, probabilmente non verrebbero mai a letto con me. Ma queste persone non solo “più omosessuali” dei miei partner, lo sono solo in modo diverso. Come ha sempre detto un noto attivista Gay, Gianni Geraci, “non esiste l’omosessualità, esistono le omosessualità”.
E che non si pensi che un ftm possa fare solo il ruolo passivo! Tutt’altro. Ma non mi sembra la sede in cui parlarne…

G: quindi essendo tu comunque di sesso femminile (genetico e biologico), ed attratto da maschi…potresti pensare di diventare genitore!

N: due precisazioni: non dare per scontato che io faccia “sesso etero“, e che comunque sia disposto a portare a termine una gravidanza. Sicuramente è possibile, per me e il mio partner potenziale, avere figli geneticamente “miei”, ma con l’ausilio della GPA (gestazione per altri), con la complicità di un’amica, che volesse vivere un’esperienza di genitorialità in tre (io, il mio compagno e lei) come fanno le donne che non possono usare il proprio utero per motivi di salute (nel mio caso, per motivi di equilibrio spirituale).

G: invece vedo che non parli della tua fase lesbica…

N: non ho avuto fasi lesbiche. Al mio liceo ci hanno instradato verso il pensare che siamo tutti naturalmente pansessuali. Durante l’adolescenza pensavo di esserlo e pensavo che tutti lo fossimo. Poi nei fatti la mia attrazione eroticoaffettiva si è diretta verso i ragazzi, anche se ho avuto qualche rapporto speciale, platonico, con persone ftm e mtf, platonico semplicemente perché in quei casi la cosa non è fiorita, ma non significa nulla.
Non so perché si pensi sempre che un ftm passi dalla “fase lesbica”. Ma ancora non si è capita la differenza tra orientamento sessuale e identità di genere?

G: cosa ci dici invece del tuo passing (tendenza a passare all’occhio degli estranei per il genere d’elezione e non per il sesso genetico)?

N: scarso, quasi inesistente. Chi si rivolge a me usando il genere grammaticale maschile lo fa perché mi vede dentro, o perché mi vuole bene, o perché con le fantasmagoriche doti da P.N.L.laro, sono riuscito a convincerlo.
Una o due volte al mese “passo”. Ovviamente lo condivido subito con tutti i miei amici.

G: Cosa pensi delle etichette?

N: di solito le taglio via dai boxer, anche perché non sono di Dolce e Gabbana.
Scherzi a parte, il blog è nato come un queerzionario. Usare e dare spiegazioni su termini, spesso stranieri, di cui nessun blog parla, è servito come lavoro su me stesso, inizialmente, e per aiutare giornalisti, visitatori e sessuologi a barcamenarsi sul lessico di settore, spesso scadente e interconnesso a mondi squallidi (la pornografia, alcune varianti sessuali…).
Ho fatto anche un lavoro di SEO per fare in modo che il mio blog arrivi, quando vengono usate come query parole inerenti al transgenderismo e alla pansessualità, prima dei siti a carattere erotico.
Spesso mi diverto a visionare le statistiche del blog e vedere che un sacco di persone arrivano al mio blog con frasi scritte su google che rappresentano il loro disperato tentativo di darsi un nome e di trovare persone simili a se stesse.
“mi sento donna dentro, sono crossdresser?” “mi piacciono donne mascoline, sono bisessuale?” “amo farmi possedere da mia moglie, sono gay?”
Poi arrivano al blog e vengono rassicurati, dai contenuti o dal sapere che esistono persone “overcross” come me. E mi contattano.
Se non avessi usato delle definizioni non ci sarebbero stati strumenti materiali affinché queste persone potessero raggiungermi e magari stare meglio o non sentirsi soli.

G: Qual’è il target del blog?

N: sessuologi, giornalisti, donne etero non avvezze al ruolo di genere femminile, ftm gay,
pansessuali uomini e donne, uomini etero fuori dagli stereotipi
Sono molte le persone che mi contattano in quanto non riescono ad inquadrarsi come etero, gay, lesbiche e “transessuali”.
Davvero molte le persone con orientamenti sessuali “intermedi”, e condizioni T poco comprese dalla comunità “transessuale”:
persone non in terapia ormonali, ftm gay e mtf lesbiche, persone di identità di genere intermedia.
Quindi io non vado a “turbare” persone che hanno ben chiaro il percorso tradizionale e desiderano farlo, ma sono diventato un punto di riferimento per tutte quelle persone che non hanno ancora “diritto di cittadinanza” nella comunità TBGL. E per fortuna! almeno mi sento meno solo…

G: Oggi servono ancora le etichette?

N: Gli attivisti dovrebbero usare le terminologie per le proposte di legge, e invece le usano per martirizzare i giovani che arrivano nelle associazioni in una fase in cui sono ancora in evoluzione, come se poi si smettesse mai di essere in evoluzione…
Ma è anche vero che spesso le campagne “basta etichette” sono proposte solo verso tutte le identità in qualche modo ancora incomprese o diffamate.
E vedrai sempre chi fieramente si definisce “medico”, “ingegnere” o “milanese”, e il napoletano che dice “manno’ siamo tutti cittadini del mondo!”. Coincidenza?

G: attivista da sei anni, dico bene? E ancora non programmi un ritiro?

N: anche i Led Zeppelin lo programmano da anni, eppure…
Scherzi a parte, la mia causa, ovvero i diritto all’identità di genere senza alcuna richiesta obbligatoria di modifica biologica, è ancora indietro e sembro l’unico visibile in Italia che la porta avanti: come posso ritirarmi?

G: parli della tua causa, ma le altre? Te ne freghi?

N: se me ne fregassi non sarei presidente del Milk. Il Milk propone cause a trecentosessanta gradi riguardanti il mondo TBGL, il problema del binarismo dei ruoli di genere, e la battaglia per la laicità delle istituzioni.
Inoltre alcune cause sono comuni, come la richiesta di una buona legge contro l’omotransfobia, senza contare che il fatto che i grandi nemici comuni sono l’eteronormatività e il binarismo di genere.
Si insiste tanto sul fatto che giuridicamente ormai i sessi sono equiparati…ma a un uomo (o a una donna) non si dà il diritto di sposare indifferentemente persone di sesso maschile o femminile, quindi vuol dire che giuridicamente ancora pene e vagina contano, e non poco.
Rendere “neutro” il matrimonio, questa la vera battaglia.
Lo stesso per le adozioni. Perché non renderle disponibili anche alle coppie omosessuali, oppure ai single?
Andrebbero rivisti completamente i requisiti per adottare, garantendo stabilità economica e psicologica, cosa su cui spesso si soprassiede nel caso di adozioni etero, con i risultati tristemente noti.
Lo stesso per quanto riguarda la genitorialità TBGL, tramite le nuove tecnologie. Si potrebbe arrivare, a breve a macchine che si occupano della gestazione. Perché no?
E, tornando sulla legge contro l’omo/bi/transfobia, andrebbero messe in luce le problematiche specifiche delle diversità “visibili”, ovvero alcuni transgenderismi e alcune visibilità estetiche anche in persone non trans, che escludono dal mondo del lavoro. Queste persone, attualmente, non sono affatto tutelate.

G: binarismo…parola che hai usato spesso nel corso dell’intervista. Cosa è questo “binarismo”? e perché non usare invece parole più “navigate” come sessismo?

N: Per sessismo si indica una visione in cui l’uomo è carnefice, patriarca, e la donna vittima.
Del binarismo invece siamo vittime tutti, e il vero carnefice è un reticolo sociale che ce lo impone da secoli proponendocelo “gius-naturalisticamente“.
Il binarismo è quella tendenza di giustificare i ruoli di genere, e la predisposizione delle persone alle mansioni e alle attitudine a seconda dell’organo genitale in dotazione, e quindi opposizione malcelata a ogni sconvolgimento di questa condizione “naturale”, che in realtà è “culturale”.
Ciò che viene quindi spacciato per “contronatura“, è semplicemente…”controcultura“.

G: chi sono gli amici di Nathan?

Un’atea psicoterapeuta di 50 anni, appassionata di programmi di crimine, una translesbica alla Ally Mc Beal, un buddhista che sta ancora cercando un partito in cui militare, alcuni atei ed agnostici, un prete open, un bestemmiatore che è l’unico bisessuale dichiarato in Italia, un vecchietto patito di esoterismo, e poco altro.
Come vedete per alcuni di loro non ho neanche precisato orientamento sessuale o identità di genere, perché nell’essere loro amico questo è realmente irrilevante, se si esclude il dettaglio che alcuni di questi li ho conosciuti tramite portali TBGL o attivismo, ma poi l’amicizia si è sviluppata e consolidata grazie ad altri interessi e passioni comuni.

G: vedo l’ostentazione del non frequentare “ambienti trans” e prenderne le distanze…sarà mica “transfobia interiorizzata”?

N: non saprei, non ho neanche mai capito cosa è esattamente la transfobia interiorizzata. Per essere mio amico devo stimarti. E dobbiamo avere due o tre interessi comuni.
Quindi che sia transgender, ma anche che sia TBGL, diventa irrilevante.
Ho diversi amici gay ad esempio, che NON ho conosciuto nell’attivismo o i nei portali gay…ma tramite interessi comuni. Io ho una visibilità “esposta”, quindi per loro è stato facile intercettarmi e dichiararsi a me!
Ricordo un mio professore al liceo. Lui si arrabbiava tantissimo quando vedeva in televisione i siciliani del Grande Fratello ricalcare gli stereotipi della cafonagine che appioppano ai siciliani. Avremmo considerato lui un siciliano-fobo interiorizzato? Forse amava così tanto il suo popolo da sentirsi offeso da questi esempi “non rappresentativi“. Lo stesso l’ho osservato in alcune donne femministe, che si vergognavano delle oche giulive, o in alcuni gay che si vergognavano di chi li rappresenta in televisione.
Allo stesso modo provo un senso di rabbia davanti allo stereotipo dell’ftm iper tatuato,  disoccupato e picaresco, o della trans che parla solo di tacco, trucco e parrucco…ma poi mi chiedo…una persona trans non ha il diritto di essere anche così, se vuole?
Dobbiamo per forza “dimostrare” di essere appartenenti al Rotary Club per sfatare i pregiudizi dell’uomo medio?
Ho passato la mia intera vita a “dimostrare” di valere, ma forse non solo per sopperire a quello che vivevo come handicap sociale, ovvero l’essere non binary. O forse perché sono un vanaglorioso narcisista!


G: visibilità evidente…continui a ripeterlo come un mantra…ma non genera problemi coi tuoi partner?

N: affatto! Se uno è attratto da me, e mi vede, sa esattamente cosa aspettarsi.
Se invece fossi medicalizzato, e avessi dei caratteri secondari indubbiamente da maschio biologico, a un certo punto dovrei confessare il mio “segreto nelle mutande”.
Diciamo che nel mio caso scappano prima, e senza imbarazzi per me.
Se coi potenziali partner voglio giocare a carte scoperta da subito, con gli amici…quasi tutti li ho conosciuti per via epistolare e tramite tematiche culturali. Quando mi hanno conosciuto di persona ormai avevano interiorizzato che ero “masculu”, e quindi continuato a darmi il maschile. Internet è una terra in cui le anime volano libere e senza la “zavorra” di un aspetto dissonante…

G: i momenti più degni di memoria della tua attività di attivista?

N: Palazzo Chigi con l’UNAR. Aver firmato Nathan nei loro registri.
Quando il Milk mi ha votato presidente e mi ha confermato presidente tre anni dopo.
Quando gli amici della “Scala di Giacobbe” di Pinerolo mi hanno invitato a parlare del blog.
Quando Stuart Milk mi ha detto che mi stimava.
La fiaccolata con 3000 persone che io e Leonardo Meda programmammo, allo sbaraglio, quando eravamo appena appena attivisti, in un autunno milanese.
E ogni volta che qualcuno, che non sia io stesso, mi intervista…
Ma la cosa che un po’ mi dispiace è che avrei voluto parlarvi di altri momenti significativi per me, di questi ultimi anni, che con l’identità TBGL non hanno nulla a che fare, ma che mi hanno cambiato profondamente.
Ad esempio di quando ho ricominciato a credere negli altri, ad osservare il miracolo del corpo che si auto-rigenera se si ferisce, o a commuovermi per la forza della natura.
Ma ne riparleremo…

16 commenti su “La sua versione dei fatti…”

  1. Nathan, sono onorato di averti conosciuto e di essere arrivato al Milk grazie a te e Leo. Ogni volta che ti vedo al Milk e accade così di frequente, mi rendo conto di quanto mi piaci 🙂 Bravo Nathan 🙂

  2. Leggendo questa intervista (e pensando alle domande del giornalista), mi rendo conto una volta di più di quanto sia difficile ricomprendere nell’umana visione delle cose l’imprevedibile varietà del reale. L’essere umano è sempre un mistero per j propri simili e per se stesso…

  3. La domanda sul tuo ritiro mi ha fatta sorridere e parecchio. Il giornalista che ti ha intervistato è un chiaro esempio dell’incomprensione mista a curiosità presente in gran parte delle persone per quanto riguarda il mondo GLBT, Però tu gli hai saputo tenere testa fin troppo bene. Adoro i tuoi modi insolenti. 🙂

  4. Beh, per me sei più da dibattito che intervista… comunque, se avessero toccato altre corde sarebbe stato più interessante, non ti hanno chiesto niente delle cose che citi senza dilungarti a riguardo. (p.e.in cosa consistono l’ attivismo laico e antibinario, quali obiettivi si prefissano e come cercano di raggiungerli, se c’è convergenza o pluralità di idee, come permeano nella massa, chiederti e farti argomentare alcune tue opinioni… se ti intervistavano solo come attivista, altrimenti potevano spaziare di più).
    Per il resto, non pensavo che avessi accantonato la filosofia di genere: il tuo blog era uno dei pochi (l’ unico?) a trattarla senza pretendere di avere la verità in tasca; molto diverso dagli spazi lgbt dove danno del qualunquista irrispettoso che parla per fare tendenza a chi ha posizioni diverse dalle loro verità.

      1. Nel senso che non ti interessa più trattare di filosofia di genere (quella che si chiamava “filosofia femminista”)

    1. Io sono tendenzialmente materialista e non credo nell’anima almeno non nel concetto cristiano della stessa ma per me l’importante è tenere presente che ogni modo di vivere la propria identità di genere (trans o cis che sia) è di per sè autentico quanto un altro a prescindere da quanto sia più o meno diffuso, noi siamo un mix di natura e cultura e storia ma ciò non ci rende incapaci di decidere per noi stessi/e.

    2. ciao nathan, ho appena trovato questo blog ed ho cercato questo articolo per capire meglio come vivi la tua “sessualità”.

      >Una o due volte al mese “passo”. Ovviamente lo condivido subito con tutti i miei amici.<

      ma quindi quando ti senti "donna" ti va di andare nel bagno delle donne, e quando ti senti "uomo" ti va di andare nel bagno degli uomini? cioè in base a come ti svegli?

      tu vorresti un mondo in cui non ci fossero bagni per uomini o per donne, ma solo bagni per tutti?

      però la domanda vera, per quanto semplice è:

      perchè ti senti uomo?
      cioè: cosa ti ha spinto a pensare che ti senti un uomo, pur sapendo che sessualmente sei attratta dagli uomini e non senti neanche la necessità di cambiare le tue forme in quelle di uomo?

      E quale è la differenza che senti tra te e una donna mascolina?

      1. Ci sono moltissimi errori in ciò che hai scritto.

        Le persone transgender ftm non “si sentono” uomo, ma “sono” di identità di genere maschile.

        Usare il termine “sentirsi” indica una condizione immaginaria, non reale. come il pazzo che si sente napoleone o giulio cesare.

        Seconda cosa, non capisco perché tu possa pensare che io alterni identità di genere dal maschile al femminile. E’ ovvio che la mia identità di genere sia sempre maschile. Perchè pensi il contrario?

        Per quanto riguarda i bagni, preferirei fossero neutri per tutti. non capisco la divisione, ma questo per il mio spirito antibinario.

        La tua domanda finale mi fa capire che fai confusione tra i ruoli di genere e l’identità di genere.

        Se una donna è mascolina, al massimo tende a ruoli che lo stereotipo attribuirebbe all’uomo. tipo una donna, felice di chiamarsi carmela, e di avere la vagina, che ama scalare le montagne o guidare l’aereo. O raparsi a zero

        Identità è altro, ben altro.

        inoltre ti informo che esistono ftm gay, ftm bisex, ftm etero, e sicuramente gli ftm gay come me non cercano uomini etero. cosa se ne fanno? Io stesso ho avuto solo ragazzi gay, o al massimo bisessuale.

        Non capisco infatti perchè usi “attratta” e non “attratto”, visto che sono un ftm

        Infine, non ho mai detto di “amare” il mio corpo. non lo modifico per ragioni biologiche, e limiti tecnici, mica perchè “amo” il mio corpo.

        1. grazie della risposta sulla questione dei bagni.

          >non capisco perché tu possa pensare che io alterni identità di genere dal maschile al femminile. E’ ovvio che la mia identità di genere sia sempre maschile. Perchè pensi il contrario?Una o due volte al mese “passo”. Ovviamente lo condivido subito con tutti i miei amici.perchè ti senti uomo?(…) E quale è la differenza che senti tra te e una donna mascolina?Se una donna è mascolina, al massimo tende a ruoli che lo stereotipo attribuirebbe all’uomo. tipo una donna, felice di chiamarsi carmela, e di avere la vagina, che ama scalare le montagne o guidare l’aereo. O raparsi a zero

          Identità è altro, ben altro.<

          puoi quindi spiegare in poche parole cosa intendi con questo a me che non sono esperto?

          Ti chiedo la cortesia di portare pazienza se non uso i termini giusti 🙁

          grazie!

      2. Cazzo, finalmente qualcuno che lo leggi e che mette a dura prova ogni tentativo di ricorrere a luoghi comuni, così affollati nella mente. Piacere di essere capitato qui per puro caso a quest’ora della notte..

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